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il Famosissimo KARATE |
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Di origini molto antiche, il Karate veniva utilizzato
come strumento di difesa ed offesa dagli antichi guerrieri cinesi. Alcuni
di questi guerrieri vennero poi a contatto con dei pescatori dell'isola
di Okinawa, a sud del Giappone, trasmettendo loro le tecniche fondamentali
del Karate. Da Okinawa, considerato il centro mondiale del Karate, esso
si diffuse rapidamente in tutto il Giappone, divenendo una delle principali
espressioni culturali del popolo nipponico. Come tutte le arti marziali
orientali, anche il Karate ha nel raggiungimento di una perfetta armonia
tra corpo e mente il suo obiettivo principale. Rientra anch'esso, pertanto,
nel novero di tutte quelle discipline che possiedono una struttura portante
altamente spirituale e filosofica, la quale si estrinseca in una serie
di azioni e gesti tipici, facenti parte della caratteristica ritualità
del Karate. Arte di combattimento in origine, poi disciplina filosofico-spirituale,
oggi soprattutto sport: questo l'iter del Karate, comune a diverse altre
discipline marziali nate e sviluppatesi in estremo oriente. In particolare,
la nascita del Karate moderno la si deve al maestro giapponese Ghichin
Funakoshi, il quale, all'inizio del ventesimo secolo, ne creò la struttura
base. Funakoshi ideò anche lo shotokan, uno degli stili più praticati
nell'ambito del Karate. Oltre allo shotokan, gli altri tre stili più
conosciuti sono il wado-ryu, il goyo-ryu e lo shito-ryu. A metà secolo,
precisamente nel 1949, il maestro Funakoshi fondo l'Associazione Giapponese
di Karate nel cui ambito, otto anni dopo, fu organizzato il primo campionato
nazionale. Dopo la seconda guerra mondiale, il Karate cominciò a diffondersi
capillarmente nel resto del mondo ed oggi non vi è paese che non abbia
delle scuole e dei praticanti di questa disciplina. Nel 1970 si disputò
poi il primo Campionato Mondiale ufficiale. Il Karate è un'arte marziale
che non prevede l'ausilio di armi né di qualsivoglia attrezzo: infatti,
la parola karate vuoi dire proprio " a mano nuda" . Esso è un insieme
di raffinate tecniche difensive ed offensive: tra le prime vanno inserite
le cosiddette parate; tra le seconde i pugni e i calci. Due sono le
specialità previste nella pratica del Karate (da non confondersi con
gli stili, che sono altra cosa): il katà e il kumité. Il katà si esegue
da soli, senza un avversario con cui combattere. E' una dimostrazione
in cui il karateka effettua una serie di movimenti codificati, coordinati
tra loro, che attestano le sue capacità tecniche. La valutazione dei
gesti si basa sulla precisione dell'esecuzione. Il kumitè, invece, è
il combattimento vero e proprio, in cui due avversari cercano di superarsi
a vicenda. Gli attacchi, sferrati con calci e pugni, devono essere tenuti
sempre sotto controllo e non provocare danni all'avversario, pena la
squalifica immediata. Testa, viso, collo, petto, fianchi e dorso (escluse
le spalle) sono i bersagli considerati validi e contro di essi vanno
condotti gli attacchi. Chi si difende deve cercare di neutralizzare
le tecniche offensive del rivale o schivando l'attacco oppure eseguendo
le parate per poi cercare di contrattaccare. Obiettivo dei contendenti
è quello di realizzare punti nel corso degli attacchi, tenendo presente
che un ippon vale un punto e un waza-ari mezzo punto: vince chi per
primo consegue tre punti pieni. Controllo dello distanza, forza, correttezza,
eleganza e scelto di tempo sono fondamentali affinché uno tecnica venga
giudicata positivamente e possa quindi determinare l'assegnazione di
un ippon o di un waza-ari. Durante i combattimenti, che si disputano
su di un quadrato di metri 8 x 8, generalmente coperto di materassini,
è obbligatorio, da parte degli atleti, l'uso di protezioni particolari
quali paradenti, guantini , paratibia, nonché paragenitali (per gli
uomini) e paraseni (per le donne). Gli atleti sono ovviamente suddivisi
in categorie in base al loro peso. Come nel Judo, anche nel Karate l'abbigliamento
comprende il caratteristico costume detto kimono, chiuso da una cintura,
di colore diverso a secondo del livello raggiunto da chi lo indossa:
bianco, giallo, arancione, verde, blu, marrone e nero in ordine crescente.
La cintura nera è poi generalmente suddiviso in dieci dan. Il passaggio
da una cintura all'altra avviene in seguito od esami superati positivamente
dall'allievo, la cui valutazione si determina sulla base di una serie
di criteri, non solo di ordine tecnico ma anche psichico e morale.
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Il Karate (letteralmente “mano vuota” anche se un tempo si
chiamava “mano cinese”) il 2 luglio 1994 entra ufficialmente a far
parte della Federazione (che dal 1995 assume perciò la denominazione di FILPJK, cioè Federazione Italiana Lotta, Pesi, Judo e Karate),
ma come disciplina associata agiva da tempo nell’ambito federale,
con i primi contatti risalenti addirittura agli anni ’60.
Il
Karate sportivo, ormai praticato in tutto il mondo anche se la mancata
unificazione delle Federazioni internazionali costituisce sicuramente
ostacolo alla sua introduzione nel programma dei Giochi Olimpici,
pur essendo antichissima arte marziale di origine cinese (là si chiamava
chuan-fa) ha una precisa data di nascita che viene indicata agli inizi
degli anni ’20. Così come ha un suo padre fondatore, Gichin Funakoshi,
nato nel 1868 a Shuri, cultore delle arti di combattimento, abile
calligrafo, uomo di cultura ed insegnante in una scuola elementare.
Elaborò una sua forma di “tode” (che significa “mano cinese” ed era
forma di autodifesa) che venne apprezzata addirittura dal futuro Imperatore
Hirohito che la conobbe nel 1921 durante una sua visita al castello
di Shuri. Passo dopo passo il Karate venne sempre più apprezzato tanto
che nel 1931 fu riconosciuto dal Butokukai, l’organizzazione imperiale
per l’educazione della gioventù.
In
Italia il Karate incominciò ad avere una certa diffusione negli anni
’60: in quel periodo si ebbero le prime associazioni a Roma (AIKI),
a Firenze (FIK) ed a Milano (AIK). Fra i promotori da segnalare il
maestro giapponese Hiroshi Shirai e gli italiani Malatesti, Basile,
Parisi e Falconi. Nel
maggio del 1966, in occasione dei primi campionati europei, l’Italia
partecipò con una squadra mista formata da atleti della AIKI e della
FIK e si classificò al terzo posto; nel luglio dello stesso anno AIKI
e FIK si fusero dando vita alla Federazione Italiana Karate, con Augusto
Ceracchini Presidente dal 29 gennaio 1967; lo stesso Ceracchini il
10 maggio 1969 venne eletto alla Presidenza della Unione Internazionale
di Karate.
Il
combattimento di Karate sportivo ripropone, a mani nude, l’antico
duello che i samurai effettuavano con la spada. I contendenti debbono
piazzare un colpo risolutivo, teoricamente mortale. I colpi sono portati
alle parti più vulnerabili del corpo con quelle armi naturali che
sono i pugni ed i calci: ma il colpo deve essere fermato prima che
colpisca il bersaglio.
Le competizioni si differenziano fra Kumite (combattimento) e Kata
(forme).
“La
competizione di Kumite – sottolinea il Direttore Tecnico Nazionale
Pier Luigi Aschieri – si configura come un combattimento libero fra
due avversari vincolati a non nuocersi. Ciò avviene attraverso il
controllo di colpi (inibizione cinetica) che trasferisce l’azione-attacco
dal piano reale a quello simbolico…Si tratta di un combattimento rituale
dove i due avversari si confrontano per ottenere la vittoria, nell’ambito
disegnato dalle regole e sulla base di capacità ed abilità psicofisiche”.
Considerando
che le azioni debbono esprimere reali quantità di energia cinetica,
comunque controllata prima del contatto, il problema dell’atleta è
quello di realizzare una situazione che sintetizzi realtà (potenza) e simbolicità (controllo).
Si
tratta comunque di uno sport in cui la vittoria premia non la “superiorità
oggettiva” (come il KO del pugilato) ma la “superiorità tecnica”.
Il
Karate è sport agonistico per eccellenza e richiede quindi ai suoi
praticanti piena maturità psico-fisica e tecnica. Si giungerà all’agonismo
solo dopo essersi sottoposti ad una preparazione intensiva e continua;
dopo aver assimilato una tecnica che consenta di dirigere colpi esplosivi
ma controllati di pugno e di calcio; dopo aver acquisito ottima condizione
atletica e maturità sul piano fisico, psichico e morale (Luridiana-Falsoni)
Per
la ricchezza del suo contenuto motorio, il Karate ha i requisiti indicati nel considetto VARF, il possesso
cioè di velocità, agilità, resistenza e forza.
Ai
fini formativi, diretti a sviluppare le qualità del carattere, il
Karate può dare in tempi brevi sensibili miglioramenti. La costante
frequenza del “dojo” esalta attenzione, volontà, tenacia, spirito
di sacrificio, autocontrollo,
fiducia in se stessi, animo virile ed autosufficienza contribuendo
a sviluppare la lealtà, il coraggio, il senso di disciplina e di responsabilità,
la socievolezza (Enrile).
Si
tratta perciò di attività consigliata ai giovani, alle donne ed agli
uomini, anche alle persone anziane.
La
FIJLKAM prevede la possibilità di seguire i karateka sin dalla più
giovane età. Sia in campo femminile che maschile i “preagonisti” vanno
dal quinto al dodicesimo anno di età, suddivisi nelle categorie bambini,
ragazzi ed esordienti “A”; gli “agonisti” prevedono gli esordienti “B” (13 e 14 anni); i cadetti (15-16-17 anni); gli juniores (18-19-20
anni) ; i seniores (dai 21 ai 35 anni) ed i master da 36 a 50 anni.
Le
categorie di peso, nella categoria seniores, sono per le donne di
kg 50; 55; 60; 65 ed oltre 65; per gli uomini kg 60; 65; 70; 75; 80;
85 ed oltre 85.
Il
Karate italiano si è sempre comportato da protagonista assoluto in
campo internazionale. Anche se ai fini statistici nel medagliere federale si è tenuto conto solo dei risultati
conseguiti dal 1995, anno in cui il Karate divenne Settore della Federazione,
non si possono certo ignorare i tre titoli mondiali vinti da Giovanni
Ricciardi nel 1980, da Gian Luca Guazzaroni nel 1988 e da Davide Benetello
nel 1994.
A seguire l’elenco degli altri vincitori di manifestazioni internazionali,
ricordando che il Karate non è ancora incluso nel programma olimpico.
CAMPIONATI
EUROPEI Davide Benetello 1995, 2000; Massimiliano Oggianu 1995; Michela
Nanni 1995; Salvatore Loria 1997, 1998; Roberta Minet 1997, 1998; Roberta Sodero 1997,
1998, 1999, 2000; Gennaro Talarico 1998,1999, 2001; Chiara Stella
Bux 1999; Luca Valdesi 2000, 2001, 2002; Giovanni Di Domenico 2002;
kata a squadre maschile 2002;
GIOCHI
DEL MEDITERRANEO Michela
Nanni 1997, Roberta Sodero
1997; Chiara Stella Bux 1997; Zaira Sottanelli 1997; Gennaro Talarico
1997; Davide Benetello 1997.
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E’
opinione diffusa che il Karate sia un’Arte Marziale che
predilige la lunga distanza nel combattimento. Opinione
affermatasi probabilmente in chi del Karate conosce
esclusivamente l’aspetto sportivo. Il Goju-Ryu di Okinawa è
all’opposto un’arte marziale che nella sua strategia di
combattimento ricerca la corta distanza per applicare le sue
caratteristiche tecniche offensive.
Gran parte degli stili di Karate, compreso il Goju-Ryu di
derivazione giapponese, hanno perso nel loro bagaglio
tecnico-tattico-motorio le abilità necessarie, affinate
attraverso apposite esercitazioni, per combattere alla corta
distanza, nel momento in cui si giunge in una situazione di
contatto con il corpo dell’avversario. Questa carenza è
ancora più evidente nella riduzione sportiva del combattimento
di Karate dove la ricerca della spettacolarità e
dell’ampiezza del gesto, l’interruzione
dell’azione da parte dell’arbitro etc. non stimolano
nessun interesse verso lo studio e la pratica del combattimento
ravvicinato, determinando così grandi limitazioni tecniche e
psicologiche nel karateka, allenato esclusivamente per il
combattimento sportivo, che si trovi a fronteggiare una
situazione di combattimento reale o più vicino alla realtà e
comunque perdendo un prezioso tesoro di informazioni per lo
sviluppo della propria pratica.
Lo stesso Jigoro Kano (fondatore del Judo), che conosceva il
Karate di Funakoshi, rimase profondamente impressionato dalla
dimostrazione che Chojun Miyagi il
(fondatore del Goju-Ryu) diede in suo
onore in occasione della visita di Kano ad Okinawa nel 1927.
Dopo la dimostrazione Kano chiese a Miyagi: "Ci sono ne-waza
(tecniche di lotta al suolo) nel Karate ?" Miyagi rispose
che nel Goju-Ryu non solo ci sono tecniche di ne-waza ma
anche nage-waza (tecniche di proiezione), shime-waza
(tecniche di strangolamento) e Gyaku-waza (tecniche di
leva articolare) e ne dimostrò alcuni esempi sottolineando
l’importanza del controllo respiratorio nell’azione.
Kano Sensei fu sorpreso dallo scoprire che il Karate non
comprendeva solo calci e pugni e scrisse a Miyagi da Shangai
(dove si era recato dopo la tappa ad Okinawa) una lettera di
apprezzamento e tra loro iniziò una ricca corrispondenza
epistolare.
Il praticante di Goju-Ryu di Okinawa esercita continuamente le
proprie abilità nel combattimento ravvicinato sia attraverso
l’uso di particolari attrezzature d’allenamento che
sviluppano la capacità di presa, di leva, di stabilità e forza,
nonché la capacità di usare tutto il corpo coordinato con il
respiro e l’energia (Ki) nelle applicazioni tecniche.
Inoltre pratica vari esercizi di combattimento: dal Randori
(combattimento rallentato finalizzato a migliorare la creatività
d’azione e l’istintualità) al Bunkai Kumite
(applicazioni in coppia del Kata, con particolare enfasi posta
sullo Zanshin e sulla determinazione nell’azione),
allo Iakusoku e Renzoku (combinazioni più o meno
complesse di attacco-difesa), al combattimento libero nella forma
dell’Iri-Kumi (termine liberamente tradotto come
‘combattimento continuo’ o ‘combattimento a corta
distanza’, forma di combattimento con contatto pieno che
permette, con o senza protezioni apposite di applicare tecniche
di calcio alle gambe e di ginocchio, atemi a mano aperta e di
gomito, prese, leve, proiezioni e Ne-Waza: lotta a terra)1.
Infine, essenziale esercitazione al combattimento ravvicinato,
definita dal fondatore Chojun Miyagi: "L’autentico
combattimento del Goju-Ryu", è il Kakie.
Le arti marziali apprese da Kanryo Higaonna
in Cina, nel Fuchao, alla fine del 19° secolo e trasmesse a Chojun
Miyagi che le ha a sua volta affinate e trasmesse ad An’Ichi
Miyagi insegnante dell’attuale Caposcuola
dell’International Okinawan Goju-Ryu Karate-Do Federation: Morio
Higaonna , sono ancora radicate nella realtà del
combattimento e caratterizzate da influenze spirituali del
Buddhismo e del Taoismo.
A causa della loro 'fresca' relazione con il combattimento reale,
che si decide di solito in uno o due metri quadri, queste arti
marziali contenevano molte tecniche per il combattimento a corta
distanza, come le cosiddette qinna o tecniche di presa,
incluse proiezioni, strangolamenti, attacchi ai vasi sanguigni,
leve articolari, attacchi ai punti vitali, etc. Tecniche che,
oltre a colpi di gomito, ginocchio calcio e attacchi di
testa,tendono a giocare un ruolo determinante in un combattimento
reale dall’antichità fino ad oggi.
Le tecniche di presa menzionate sopra erano, ed ancora sono,
praticate nel bunkai kumite e kakie.
Molti esercizi per il combattimento della Cina Meridionale
cominciano da una situazione in cui i praticanti già sono in
contatto con certe parti del corpo, soprattutto l'avambraccio.
Gli avambracci sono spesso denominati ‘ponti’ poichè
connettono i corpi dell'assalitore e del difensore e creano
l’occasione per entrare nella difesa dell'assalitore.
Oggi, ancora molti di questi esercizi esistono e sono praticati
nelle arti da combattimento della Cina Meridionale e di Okinawa.
Ben noti esempi di questi sono tuishou (‘mani che
spingono’) del Taijiquan e chishou del Yongchun
quan. Nel Karate Goju-ryu di Okinawa questo genere di
esercizi sono raccolti sotto il nome di 'kakie’,pronunciato
'koki’ nel dialetto del Fujian , e giocano un ruolo
fondamentale nello sviluppo delle abilità nel combattimento2.
L'impatto della pratica del kakie sullo sviluppo delle
abilità del karateka, sia da una prospettiva marziale che
terapeutica,può essere enorme a causa dell’intenso,
continuo e vivo feedback che ottiene il praticante . Il Kakie
è un interessante punto d’incontro di differenti esercizi
di karate-do, connette la fondamentale e profonda
ginnastica terapeutica e i principi meditativi del kata
Sanchin, la ricchezza tecnica del Bunkai kumite e la
potente dinamica dell’Iri kumi.
Dalla prospettiva della ‘cinetica ed energetica’
il kakie ha un forte impatto sulla capacità di radicare e
stabilizzare la propria postura, centrarsi; regolare il respiro,
l’assorbire ed estendere la potenza, muchimi, chiru
nu chan chan (più avanti spiegherò il significato di questi
termini)3 e altre qualità di base.
Le tecniche di presa, incorporate nel bunkai kumite e
nel kakie, e derivate dai movimenti dei kata,
sono dette tuite (tuidi) o gyakute.
Tuite può essere tradotto come ‘mani che
afferano’. Gyakute letteralmente significa ‘mani
rovescianti’, spiegando il suo carattere difensivo facendo
riferimento al rovesciare, allentare o rilasciare una presa
dell’avversario con il significato di tecniche di leva
articolare, proiezioni, strangolamenti o altro.
Le stesse tecniche di tuite o gyakute possono anche
essere applicate contro attacchi di calcio o di pugno.
Le situazioni di combattimento a corta distanza richiedono delle
abilità specifiche che non possono essere sviluppate attraverso
pratiche di combattimento a lunga distanza. A corta distanza è
più difficile parare e attaccare con atemi, in particolare
spesso gli attacchi non possono essere percepiti con la vista
perché l’avversario è molto vicino e sono lanciati da una
distanza ridotta (il che richiede una specifica capacità di
sviluppare potenza senza nessun caricamento del colpo: sun
zuki), il tempo di reazione è inoltre ridotto al minimo. In
questa situazione di combattimento si deve fare affidamento ad
una sensibilità specifica al contatto con l’avversario, una
sensibilità che permetta letteralemente di intuire le sue
intenzioni sul nascere.
Il combattente allenato a questo tipo di combattimento giunto
alla corta distanza cercherà di ‘aderire’ al corpo
dell’avversario per percepirne le intenzioni attraverso le
tensioni e distensioni muscolari e le canalizzazioni energetiche,
soffocandone sul nascere l’azione o reindirizzando
l’energia a proprio vantaggio.
Morio Higaonna Sensei è solito dire: "Il kakie è
particolarmente indicato nel combattimento a corta distanza. Nel
normale kumite sono per lo più gli occhi che leggono le
intenzioni dell’avversario. Nel combattimento ravvicinato,
invece, è vitale percepire il movimento dell’avversario
attraverso il tatto."
Questo sviluppo della sensibilità, con e senza contatto, è
strettamente collegata all’affinare quella capacità che nel
dialetto di Okinawa è definita ‘chiru nu chan chan’.
Questo termine si riferisce ad una azione esplosiva che deriva da
una perfetta coordinazione nella contrazione e decontrazione dei
muscoli e dei tendini, ma ha connotati più profondi che
comprendono la capacità di anticipare l’attacco
dell’avversario incrementando la propria sensibilità, il
che permette di esprimere azioni fulminee riducendo al minimo il
tempo di reazione.
A livelli avanzati questa sensibilità si estende ad un livello
mentale ed energetico definito ‘kanken’, che
può essere tradotto come intuizione o sesto senso.
Questa capacità (chiru nu chan chan), anche muscolare,
può essere ottenuta solo a prezzo di un quotidiano allenamento
ed è tenuta in grande considerazione dai maestri di karate di
Okinawa.
La realtà del combattimento impone inoltre al combattente che
cerchi la corta distanza di sviluppare la capacità di assorbire
qualche colpo nel chiudere la distanza. In altri termini, è
necessario sviluppare l’abilità, di assorbire gli attacchi
in quelle aree del corpo che possono essere protette attraverso
una specifica contrazione muscolare e attarverso particolari
cambiamennti della posizione di guardia.
Il Goju-Ryu di Okinawa prevede molti esercizi che
‘forgiano’ il corpo e le estremità affinchè
acquisiscano questa resistenza all’impatto e che inoltre
permettono di sviluppare la capacità di assorbire l’impatto
nel modo più razionale e meno dannoso attraverso la giusta
coordinazione tra movimento, contrazione e respiro.
Esempi di queste esercitazioni sono il: tai atari, l’ude
tanren e l’allenamento al makiwara.
Gli esercizi di Tai atari e di Ude tanren hanno la
loro origine nello stile luohan quan o ‘la boxe del
monaco’. Il luohan quan insieme al hu quan o
‘boxe della tigre’ e allo he quan o ‘boxe
della gru’, sono le fondamenta da cui si è evoluto il
Goju-ryu di Okinawa.
Fondamentale è inoltre sviluppare la capacità di incrementare
la propria energia vitale (Ki), accumularla nel Tanden
e indirizzarla alle aree che subiscono il contatto ‘fondendo
il Ki’ nelle ossa, muscoli e tendini.
La base per lo sviluppo di queste ‘abilità
energetiche’ è l’allenamento del Kata Sanchin.
Il Kata Sanchin è finalizzato proprio
all’unificazione della mente e del corpo attraverso
l’incremento e il controllo del respiro e dell’energia,
ed è a pieno titolo considerato una forma di Kiko,
esercizio per il Ki. Sanchin significa proprio
risolvere i ‘tre conflitti’ tra corpo-mente e respiro.
Un particolare tipo di pratica respiratoria esercitata nel
Goju-ryu di Okinawa e fondamentale nel combattimento a corta
distanza è il metodo ‘noon’. In questo genere
di respirazione si impara a trattenere il respiro durante
l’estensione di energia, questo permette di assorbire colpi
mentre si attacca con tecniche di pugno, calcio, si proietta...
Questa dinamica respiratoria richiede un alto livello di
controllo respiratorio, un forte sviluppo del tanden e
l’apertura dei meridiani energetici.
Una delle abilità che l’esercitazione Kakie permette
di acquisire nel combattimento ravvicinato è proprio questa
capacità di sospendere il respiro al culmine dell’azione.
Anche nel superiore Kata Suparinpei troviamo in varie fasi
questa particolare dinamica respiratoria ‘noon’.
In altri eventuali articoli mi propongo di illustrare altri
aspetti della pratica del Goju-Ryu di Okinawa tra i quali gli
esercizi di potenziamento muscolare-energetico, Bunkai Kumite,
Iri Kumi....
Torniamo per ora a parlare dell’esercitazione Kakie.
Nell’esercitazione Kakie i due (a volte tre)
praticanti partono da una situazione di contatto
dell’avambraccio anteriore e cercano una forte stabilità
attraverso il ‘radicamento’ (definito rooting in
inglese) sviluppato con l’allenamento del Kata Sanchin abbinato
alla necessità di essere estremamente mobili e paradossalmente
‘leggeri’ negli spostamenti (questo fa perfettamente
comprendere i principi ‘Go’ e ‘Ju’)
quindi cominciano a ‘spingere’ verso il corpo del
compagno. La ‘spinta’ (che può trasformarsi in atemi)
può avvenire sul piano orizzontale o su quello verticale.
La risposta alla spinta sarà quella di deflettere la forza
attraverso il corretto movimento delle anche e di tutto il corpo
centrato nel tanden con particolare attenzione al controllo del
respiro e alla sensibilità che nasce dalla giusta alternanza di
tensione e rilassamento. La spinta verticale viene
‘assorbita nel tanden’. Varie possono essere le
modalità di questo esercizio di base del Kakie: occhi
chiusi e reazione alle rotture di ritmo del compagno,
ammortizzazione muscolare della spinta per redirigere
l’energia e sviluppare la forza nei distretti muscolari
interessati all’azione e altre forme di esecuzione. In ogni
caso il fondamento della pratica è : trovare il proprio centro e
agire a partire da lì. In seguito si cominciano ad applicare
leve, proiezioni, atemi, prese e pressioni a punti vitali a
partire da questa situazione di contatto reagendo all’azione
d’attacco del compagno. Fino ad arrivare ad applicare
liberamente, in una sorta di combattimento libero, le tecniche e
le relative risposte di liberazione, contrattacco, controleva...
La capacità di controllare e redirigere la forza
dell’avversario, nel combattimento a corta distanza,
richiede di saper controllare, assorbire, deflettere ed evadere
la forza stessa. Tutte queste abilità si allenano nel Kakie. La
capacità di controllare la forza dell’avversario è
sviluppata attraverso i movimenti muchimi che si trovano
oltre che nel Kakie anche nei Kata. Muchimi nel
dialetto di Okinawa viene definito un movimento
‘appiccioso-pesante eppur fluido’ ed è caratteristico
di tecniche di presa e di parata evolute che oltre a deflettere
l’energia dell’attacco tengono sotto controllo e
disturbano l’equilibrio dell’avversario per il tempo
sufficiente al contrattacco.
La capacità di assorbire l’energia, da non confondere con
la capacità di assorbire un colpo, è allenata nelle
esercitazioni di base del kakie in cui si
‘assorbe’ la spinta dell’avversario nel Tanden, da
dove riparte poi la forza di ritorno.
Le abilità richieste in quest’azione sono chiamate nelle
arti marziali cinesi: ‘tunjin’ e ‘ tujin’.
Tunjin significa ‘abilità nell’inghiottire o
assorbire’ e tujin significa ‘abilità nel
risputare o restituire’.
Nel movimento verso l’avversario la potenza è
‘penetrante’ e ‘sovrabbondante’ mentre nel
movimento di ricezione della forza viene utilizzata energia
sufficiente ad assorbire la forza e redirigerla verso il suolo o
il tanden. E’ come se il corpo si espandesse e
contraesse.
La capacità di assorbire la forza, allenata nell’esercizio
del Kakie, è anche utilizzata in particolari parate
‘morbide’ (ju) spesso combinate con tenshin,
tai sabaki e o taihiraki ( spostamenti, schivate con
tutto il corpo o solo col busto).
La capacità di deflettere un attacco può essere combinata con
la capacità di ‘assorbire’ o ‘far rimbalzare
via’ la forza dell’attacco.
L’evasività utilizzando tai sabaki, tai hiraki e tenshin
è difficile da padroneggiare nel combattimento a corta distanza,
ed è allenata attraverso il kakie, permettendo di
ottenere attraverso lo spostamento di tutto il corpo o parte di
esso una migliore posizione strategica rispetto
all’avversario trasformando la difesa in contrattacco.
Il confronto con il Kakie apriva talvolta ad Okinawa le
‘sfide’ tra Karateka (kake-dameshi) permettendo
così ai contendenti di percepire il livello dell’avversario
ed eventualmente riconoscerne la superiorità rinunciando al
combattimento.
Ho percepito personalmente questa realtà praticando in più
occasioni kakie con Higaonna Sensei.
Nonostante ritengo di aver acquisito una discreta abilità in
questo esercizio mi sono sentito completamente sovrastato dalla
potenza e dal controllo del Maestro.
Un divertente episodio è accaduto durante un allenamento con
Higaonna Sensei nel Dojo di Davide Incarbone Sensei.
Un body builder, pluri-decorato campione anche di distensioni su
panca, che aveva osservato me e Davide praticare Kakie con
Higaonna Sensei ha chiesto a Davide di poter provare con il
Maestro.
Al momento opportuno, durante una pausa, Davide ha presentato il
body builder a Higaonna Sensei che con il solito spirito cordiale
e modesto ha accettato di eseguire l’esercizio con lui.
Ebbene ho visto il Pesista, che misurava il doppio del Maestro,
essere spinto in tutte le direzioni della stanza in balia del
controllo e della potenza di Sensei come un bambino condotto per
mano.
Scherzando il Maestro gli ha detto: "sei forte, ma se vuoi
diventare più forte devi cominciare a praticare Karate".
E’ difficile esprimere a parole ciò che può essere
compreso solo attraverso la pratica corporea.
Spero comunque di aver trasmesso qualche impresione ed
informazione attraverso questo mio scritto se non altro per
ricordare a tutti i Karateka, spesso delusi da una pratica
finalizzata esclusivamente all’agonismo, che esiste un
tesoro di informazioni che si sta irrimediabilmente perdendo.
Che esiste una pratica completa ed appagante che permette di
‘crescere’ per tutta la vita non solo nello sviluppare
la propria capacità combattiva ma anche e soprattutto che
permette attraverso i propri preziosi strumenti educativi di
conoscersi e perfezionarsi come uomini completi.
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