I parametri di qualità della carne bovina
La carne bovina: Impariamo a mangiarla
Oggi si vive e si
mangia in modo sregolato e in fretta. Non solo, ma si mangia "troppo":
l’italiano medio assume circa 1.000 calorie al giorno in più del necessario,
in risposta a stress, frenesia e stati d’ansia. Tutti dicono di apprezzare la
"buona tavola", eppure sono sempre meno i momenti che si possono
dedicare ad essa.
Per questo è utile riscoprire le nostre buone abitudini alimentari, soprattutto
perché oggi la nostra dieta può avvalersi di prodotti maggiormente selezionati
rispetto al passato.
Fino agli anni ‘60, infatti, si è avuta in Italia una produzione di carne
bovina ad alto contenuto adiposo; oggi la selezione genetica e l’alimentazione
razionale e bilanciata dei capi hanno ridotto la quantità di grasso a quote
insignificanti, spesso inferiori a quella di parecchie carni
"bianche".
Ciò che rende inoltre particolarmente importante la carne bovina
nell’alimentazione quotidiana (ovviamente il riferimento è alle carni rosse
di bovino adulto e non di vitello a carne bianca) sono i suoi contenuti
nutrizionali, come le vitamine (B1, B2, B6, B12, PP), i minerali (ben il 40% del
ferro immesso nell’organismo) e le proteine nobili, con un alto contenuto di
aminoacidi essenziali e grande digeribilità, anche se spesso queste
caratteristiche vengono erroneamente associate dal consumatore ai tagli
"nobili" e più costosi come: filetto, sottofiletto, fesa e scamone.
Oggi si può scegliere da soli o, se si ha bisogno di un consiglio, chiedere
all’"amico macellaio" in grado di capire subito le esigenze del
cliente e garante - soprattutto se fa parte di una catena di macellerie COALVI o
CARNI BOVINE CERTIFICATE - della qualità e bontà delle carni. In breve un
meditato spostamento degli acquisti e dei consumi verso la carne bovina di
qualità è un segno di crescita e di consapevolezza nelle scelte alimentari.
INTRODUZIONE
La valutazione della
qualità può venir fatta in momenti diversi interessando l’allevatore, il
macellatore, il macellaio, il cuoco, il consumatore, ma in ogni caso in funzione
di quest’ultimo, che nel suo giudizio tiene prevalentemente, anzi quasi
esclusivamente, conto degli attributi organolettici.
Le prime caratteristiche osservate sulla carne cruda sono: mediante l’olfatto
l’odore, che è tipico di specie e risulta quasi sempre soddisfacente;
mediante l’esame visivo il colore, la grana (per lo più considerati in
funzione di una stima della tenerezza), il grado di infiltrazione di grasso, il
potere di ritenzione dell’acqua.
Quando poi si passa all’utilizzazione si osserva: il calo di cottura, legato
al potere di ritenzione dell’acqua, la tenerezza, la succosità, il sapore, il
gradimento, mentre il colore perde decisamente d’importanza.
Per quanto concerne l’aspetto nutritivo il consumatore tiene di solito
presente soltanto il tenore in grasso, attualmente quasi sempre valutato come
fattore negativo. In genere ritiene la carne alimento di pregio, in quanto
costituito da proteine nobili perché di elevato valore biologico, ben
digeribile e tollerabile, di basso valore calorico, ben dotato di principi
nutritivi indispensabili, cioè vitamine, oligoelementi, acidi grassi
essenziali.
Sull’aspetto tecnologico possiamo innanzitutto osservare che il consumatore
limita per forza di cose il suo giudizio oltre che al calo di cottura alla
conservabilità della carne acquistata, notando le perdite di acqua e, in
qualche caso, la durata della conservazione prima che intervengano modificazioni
segnalate prevalentemente dalla comparsa di odori sgradevoli.
A chi si occupa della trasformazione della materia prima in prodotto pronto per
la vendita interessano anche altri parametri quali il calo di peso,
l’attitudine a subire una frollatura ottimale consentendo un idoneo
abbassamento del pH ed un aumento della tenerezza (ricordiamo le correlazioni
esistenti tra pH, potere di ritenzione dell’acqua e colore). Per il macellaio
riveste importanza anche la conservabilità del prodotto e la possibilità di
ricavarne tagli della forma e delle dimensioni richieste dal consumatore.
Il grado di accettabilità è assai variabile perché influenzato da numerosi
fattori legati prevalentemente a tradizioni alimentari, ma anche a condizioni di
ambiente e di vita, cioè a fattori fisiologici, sociologici e culturali. Si
deve notare che il grado di accettabilità dipende anche dal prezzo.
Il discorso sulla qualità potrebbe sembrare a questo punto assai aleatorio.
E’ invece indispensabile, ed anche possibile, valutare le caratteristiche
prima citate ed effettuare la misura dei principali parametri.
il PH
La determinazione
del pH è importante per i legami esistenti tra questo parametro ed alcune
fondamentali caratteristiche quali il colore, il potere di ritenzione
dell’acqua, la tenerezza, l’aroma.
Le carni al momento della macellazione presentano un pH pressoché neutro che si
modifica poi nelle prime ore di conservazione mediante glicolisi anaerobia. La
trasformazione del glicogeno in acido lattico e l’accumulo di questo continua
sino al raggiungimento di un pH, in genere, intorno a 5,4-5,5. A tale pH anche
se rimane del glicogeno, il processo di formazione dell’acido lattico si
arresta. Il pH terminale, raggiunto sia per carenza di glicogeno, sia per
inattivazione degli enzimi glicolitici che per inaccessibilità del glicogeno
agli attacchi enzimatici, viene definito pH finale.
A temperatura ambiente la demolizione enzimatica avviene quasi totalmente nelle
prime 24 ore.
La variazione di pH caratterizza buona parte del processo di maturazione della
carne. Dipende da numerosi fattori tra i quali ricordiamo, oltre a quelli
genetici o legati alle tecniche di allevamento o di alimentazione, le condizioni
degli animali prima della macellazione, nonché la macellazione stessa e le
operazioni di raffreddamento e di frollatura.
Nelle diverse masse muscolari l’intensità del processo di acidificazione
varia. Il muscolo longissimus dorsi ed i muscoli della coscia presentano in
genere valori più bassi e constanti mentre i muscoli distali degli arti
denunciano valori più elevati e variabili.
Una buona acidificazione indica che il parenchima è normale per composizione
chimica e per dotazione enzimatica.
Durante la frollatura avvengono fenomeni di denaturazione delle proteine
muscolari sui quali il pH esplica un’importante azione. In particolare la
capacità di trattenere l’acqua è minima al punto isoelettrico corrispondente
al pH finale di 5,4-5,5; se questo risulta più elevato viene stimolata la
crescita di batteri e si determina lo sgradevole fenomeno, almeno dal punto di
vista estetico e commerciale, delle carni strapazzate, note come "dark
cutting beef". Un ritardo nell’abbassamento del pH provoca un aumento
dell’intensità del colore e della capacità di ritenzione dell’acqua nel
muscolo fresco.
IL COLORE
Il colore della
carne cruda è dovuto principalmente al contenuto in mioglobina, pigmento
presente nella quota di 1-3, 4-10, 16-20 mg per grammo di tessuto muscolare
rispettivamente nelle carni di vitelli, di bovini adulti e di bovini vecchi.
Il colore è forse la prima caratteristica di qualità valutata dal consumatore,
che lo ritiene indice di tenerezza e di freschezza delle carni. E’ un
carattere facilmente rilevabile, seppure in modo impreciso, con il semplice
esame visivo.
Innanzitutto la percezione è fortemente influenzata dall’illuminazione, con
riferimento alla qualità ed all’intensità della luce, è poi marcatamente
soggettiva ed infine risulta persino difficile definire con una terminologia
uniforme quanto si è percepito.
Il colore deve venir misurato solo dopo il raggiungimento del pH finale, cioè a
48 ore dalla macellazione o, in condizioni eccezionali e solo sulla carcassa, a
24 ore.
RITENZIONE DELL’ACQUA
La capacità di
trattenere l’acqua è un attributo di notevole importanza in quanto influisce
sull’aspetto della carne cruda, sul suo comportamento durante la cottura e
sulla succosità durante la masticazione.
Nel muscolo l’acqua rappresenta circa il 75% del peso ed è trattenuta più o
meno energicamente. Le variazioni di idratazione della carne sono strettamente
legate alla struttura ed alle proprietà delle proteine muscolari.
L’acqua presente è suddivisibile in tre frazioni:
a) la "vera acqua di idratazione" o "acqua legata", fissata
alla proteina muscolare mediante carica elettrica;
b) "l’acqua immobilizzata" o "non legata" contenuta negli
spazi intermicellari e disposta in strati mono o plurimolecolari;
c) "l’acqua libera" che è racchiusa nella struttura spaziale.
La demarcazione tra una porzione e l’altra non è ben netta, in quanto si ha
una continua transizione dell’acqua da una forma all’altra, così che non è
possibile neppure definire la percentuale delle tre frazioni. Possiamo tuttavia
dire che non più del 4-5% dell’acqua totale del muscolo può essere
strettamente legata alle proteine muscolari.
Non essendo possibile determinare nettamente e differenziare le diverse frazioni
per definire il potere di ritenzione, che è la capacità della carne di
trattenere saldamente la propria acqua di costituzione o di ricevere acqua in
determinate condizioni sperimentali, si usano i termini di "acqua non
legata" per indicare l’acqua liberata e di "acqua legata" per
quella trattenuta nel tessuto sottoposto a forze diverse, ad esempio alla
pressione, al calore, ecc. citando il metodo di misura adottato.
La capacità di ritenzione è fortemente correlata al rigonfiamento, termine con
il quale si indica la spontanea assunzione di acqua da parte della carne dal
liquido circostante con conseguente aumento di peso. Rigonfiamento e
disidratazione, dovuti all’interazione tra carne ed acqua, definiscono
entrambi la capacità di ritenzione. Su questa influiscono il pH, in relazione
allo stato delle proteine, ed i metalli bivalenti.
I diversi muscoli presentano un diverso potere di ritenzione: i muscoli che
hanno un elevato contenuto di grasso intramuscolare tendono ad avere una elevata
capacità di trattenere l’acqua.
Variazioni della capacità di ritenzione sono legate alla specie, al sesso,
all’età, allo stato di salute, al grado di preparazione, alle modalità di
trasporto degli animali da cui provengono le carni.
LA TENEREZZA
Al momento
dell’acquisto il consumatore valuta la tenerezza considerando il colore e la
grana della carne, che suppone tanto più dura quanto più è intenso il primo e
grossolana la seconda.
Il giudizio così espresso è un po’ sommario anche se le carni più scure in
genere sono fornite da capi più vecchi e risultano meno tenere, mentre la grana
grossa è sinonimo di tessitura grossolana.
Le fibre ed i fasci di fibre di vario ordine, che in diverso modo riuniti tra di
loro costituiscono i muscoli, alla sezione trasversale si presentano all’esame
visivo come tante zonule poligonali che si rendono via via più manifeste a mano
a mano che, procedendo l’ingrassamento dell’animale, il connettivo lasso,
che aggrega e separa i vari elementi, viene infiltrato da cellule adipose.
Queste zonule poligonali conferiscono al muscolo un aspetto particolare, al
quale viene dato il nome di grana.
Hanno grana più fine le carni di vitello, in confronto a quelle di adulto e, a
parità di età, quelle della femmina in confronto a quelle del maschio
castrato, mentre le carni di maschio adulto intero sono di solito a tessitura
grossolana. L’importanza dell’apprezzamento della grana, che normalmente si
compie esplorando la superficie della bistecca, dipende dal fatto che le carni a
grana fine sono le più succulente e le più tenere.
La tenerezza è il fattore singolo che presenta maggior importanza commerciale
nella valutazione della carne. Si tratta di una caratteristica complessa, in
quanto parecchi fattori concorrono a determinarla; tra questi i più importanti
appaiono: la struttura delle carni, in particolare la lunghezza dei sarcomeri e
le dimensioni (diametri, aree, perimetri) delle fibre muscolari, la consistenza
delle aponeurosi, la quantità di grasso, la succosità, la qualità del
connettivo e l’ammontare del collageno. Non è stato possibile finora valutare
il peso dei singoli fattori della tenerezza.
CONCLUSIONI
Naturalmente
esistono altri fattori che influenzano la qualità della carne quali per esempio
i fattori genetici e ambientali. In particolare possiamo dire che l’impiego
razionale delle risorse genetiche e di una dieta opportunamente calibrata in
relazione al genotipo ed al prodotto che si vuole ottenere è capace di
soddisfare la domanda di qualità che è posta con prepotenza dal consumatore.
Accanto ad un’idonea alimentazione è comunque indispensabile un adeguato
management in grado anche di ridurre gli stress e la relativa patologia, affinché
col miglioramento del benessere animale si migliori la qualità di produzione.
Il trattamento dell’animale e gli stress che esso subisce prima
dell’abbattimento, i trattamenti delle carcasse e successivamente dei tagli
carnosi, hanno altrettanta importanza nell’incidere sulla qualità.
Gli allevatori di bovini da carne, dunque, debbono, da un lato, giustamente
riconoscere che un corretto ed appropriato espletamento delle operazioni
inerenti al rifornimento delle carni concorre validamente alla conservazione e
difesa delle caratteristiche qualitative delle medesime; ma d’altro lato,
debbono rendersi conto che i loro sforzi messi in atto a livello genetico e di
allevamento per preparare alla macellazione animali con ottime prerogative
commerciali potrebbero esser frustati da errate operazioni in fase di trasporto,
macellazione, lavorazione e commercializzazione del prodotto destinato al
consumatore.
Le razze da carne del nostro Paese presentano caratteristiche idonee per fornire
le carni richieste attualmente dal mercato.
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