KI
Un
dizionario giapponese definisce KI come mente, spirito o
cuore. Vi sono elencate centinaia d’espressioni in cui è
usata la parola KI, per la maggior parte modi correnti
per esprimere stati d’animo, tipi d’atteggiamento o
carattere.
Nelle
discipline e medicina orientali, la parola Ki sta ad
indicare una forma sottile d’energia.
KI è la forza vitale, una fonte interna d’energia. Come
Zen e
Satori il
termine Ki è diventato negli ultimi tempi d’uso comune
nelle lingue occidentali. Tuttavia, mentre sono stati
scritti molti libri sullo
Zen per
gli occidentali, pochissimi hanno trattato l’argomento
del Ki. I
concetti profondi sono difficili da definire ed in ogni
caso anche una definizione accurata non può sostituire
l’esperienza diretta nell’arrivare ad una migliore
comprensione del KI. La parola KI deriva dal concetto
originario cinese di
Chi o
Qi,
introdotto in occidente con l’agopuntura e il
T’ai Chi Ch’uan.
Ma
l’antico modo di pensare cinese nei riguardi della vita
è così lontano dal nostro che può essere di scarsa
utilità in riferimento allo studio del KI.
Alcuni
ricercatori hanno tentato di soddisfare l’esigenza della
mente moderna d’avere prove tangibili di ciò che è
impercettibile. La fotografia a raggi infrarossi e foto
scattate in un campo magnetico ad alta frequenza
sembrano rivelare un’immagine dell’aura (umana).Tracciati
di resistenza epidermica ad elettricità a basso
voltaggio sembrano seguire i meridiani dell’agopuntura
per indicare la direzione del flusso KI.
Ma
nessuna di queste ricerche ha veramente attirato
l’attenzione dell’ambiente scientifico.
I primi
filosofi occidentali tentarono senza successo di provare
matematicamente l’esistenza di Dio, tuttavia la mente ha
sempre eluso ogni tentativo di esplorare e definire la
propria essenza.
È molto più facile dimostrare il KI che
cercare di misurarlo o contenerlo.
Esso opera in accordo a principi
definiti. La sua azione lascia tracce fisiche che
possono venir facilmente riconosciute. Si può assumere
come definizione operativa la seguente:
Il KI
è
un’energia universale, capace di infinita espansione e
contrazione, che può essere diretta, ma non contenuta
dalla mente.
Il KI non può essere percepito
direttamente dai sensi o misurato con una macchina.
Tuttavia esso non è soltanto un concetto.
È una
forza reale che è possibile percepire intuitivamente e
dirigere mentalmente. Pur vivendone sempre a contatto e
dipendendo dall’aria che respiriamo, raramente la
notiamo o apprezziamo la sua importanza. Così come
l’aria e l’acqua, il KI è la fonte della nostra
vitalità. È quella qualità misteriosa che distingue una
persona sana da una malata, una viva da una morta.
Il nostro KI si indebolisce quando non
arriviamo a comprenderne la natura originaria. Sebbene
ogni frammento di prova scientifica indichi l’unità di
mente e corpo, ci comportiamo come se fossero separati.La
vecchia nozione filosofica dell’uomo come uno spirito
all’interno di una macchina può essere fuori moda, ma
non del tutto sbagliata.Il modo migliore di rafforzare
il KI è capire e praticare l’unità di corpo e mente.
KIAI
La parola
giapponese KIAI viene tradotta a volte come grido o
urlo. Il KIAI non implica un’emissione di voce, così
come invece i film orientali di arti marziali hanno reso
popolare. La parola KIAI significa letteralmente
congiungimento o unione del KI (con il KI). In questo
senso è possibile anche un KIAI silenzioso. Ogni
emissione di voce con il KI è KIAI, sia alta che bassa,
sia parlando che gridando. Il segreto del KIAI è di
estendere il KI con forza prima di parlare e non
interferire con la voce producendo tensione nella gola.
Alcuni genitori ed insegnanti rimproverano ripetutamente
i bambini e poi si lamentano che le loro parole “entrano
da un orecchio ed escono dall’altro”. Per la verità,
nella maggior parte dei casi le loro parole non entrano
affatto. Se non c’è KI a dare alle parole un potere
penetrante, queste non hanno impatto. Non è di alcun
beneficio reagire al comportamento di un bambino con una
mente superficiale e irritata. Incapaci di controllare
se stessi, molti adulti non riescono a controllare i
bambini o i giovani e a guadagnarsi il loro rispetto.
Sia che
sgridiate un bambino, sia che raccontiate una storia ad
un amico o facciate un discorso in pubblico, coordinate
mente e corpo prima di aprire la bocca. Allora le vostre
parole avranno il massimo impatto. Ci si può concentrare
sul KIAI emettendo un suono mentre si visualizza
un’immagine penetrante.
Il suono
“i - iai - i” è molto efficace per concentrarsi nel
passaggio del KI attraverso un oggetto. Il suono inizia
dall’addome, si espande, poi si affina, si concentra di
nuovo come una lunga lente assottigliata. Se lo
effettuate senza rilassarvi completamente, vi causerà
soltanto un gran mal di gola. Non esagerate nella
pratica del KIAI, o sforzerete troppo la voce. L’intento
non è nel volume.Lo
scopo del KIAI è ottenere un effetto di purificazione e
l’unità mente-corpo in un solo istante. Dovete sentire
il movimento del Ki come una folata di vento che passa
su di voi e va oltre. Lasciate che la voce vi sia
trascinata dentro. Il silenzio che segue un buon KIAI è
ben distinto. Non disturbatelo con parole insulse o
movimenti. È tradizione ricordare la leggendaria
capacità detenuta dai samurai, che con il KIAI potevano
bloccare una persona sul loro cammino.
Tanden
e hara -
Energia Addominale
Un
termine del JUDO tradizionale, che oggi purtroppo sta
sparendo, è
tanden.
Solitamente, nel JUDO occidentale, per TANDEN si intende
il centro gravitazionale, il baricentro del corpo umano,
che è l'area addominale sottostante l'ombelico, ma non è
solo questo. In Oriente si ritiene che in quest'area vi
sia il nucleo del
Ki
(energia vitale, universale), che in questo caso prende
il nome di hara.
Sia il
tanden,
l'hara
che il Ki
sono elementi fondamentali in tutte le forme di medicina
asiatica dall'agopuntura, allo
shiatsu,
l'ajurveda
e tante altre. La traduzione di
tanden è
molto esplicativa:
tan
significa essenza, riferito proprio alla medicina e den
significa campo di riso. Il
tanden
dunque non è un punto, ma una distesa che attraversa il
basso addome e che, come una risaia, si può dividere in
più sezioni.
Questo
punto non ha quindi una grandezza o posizione
definibile. La sua posizione slitta più in basso e
perfino fuori del corpo, quando la parte superiore del
corpo è inclinata in avanti o all'indietro. Tra
tanden ed
hara non
c'è differenza, nella loro interpretazione forse cambia
leggermente il tipo di energia a cui fanno riferimento:
per il tanden
più fisica; per l'
hara più vicina al
Ki.
Nel Jiu
Jitsu ogni gesto tecnico deve originare dal
tanden
per raggiungere la sua perfezione ed il
tanden è
il centro motore di ogni nostro movimento, la
consapevolezza del proprio centro di gravità è
essenziale se si vuole sviluppare e migliorare la
propria tecnica. Studi di biomeccanica del JUDO che
hanno voluto assegnare al
tanden un
punto definito, hanno dimostrato che il posizionamento
del baricentro generale biomeccanico e la posizione del
tanden
non coincidono, essendo quest’ultimo spostato in avanti
con la sua proiezione sulla superficie trapezoidale
ottimale di circa l’1,6%, e più in basso di circa l’1%.
Ciò nonostante tra baricentro e
tanden
esiste un'importante sinergia, e gli esercizi per il suo
potenziamento sono tutt’oggi validissimi.
L’espressione giapponese
Saika tanden,
significa cintura addominale. Nel JIU JITSU una forte
cintura addominale rende notevoli servizi nella pratica.
Al fine di aumentare la potenza addominale, oltre ai
movimenti tendenti a sviluppare i muscoli stessi, è
stata studiata tutta una serie di esercizi di
respirazione. In un antico testo giapponese che tratta
del modo di mantenersi in salute, nel capitolo della
respirazione, si legge così:
“Mettetevi distesi, o meglio seduti, col
busto dritto e rivolti verso il sol levante.
Fate trenta respirazioni molto profonde.
Tenete gli occhi socchiusi in modo che
possiate respirare profondamente e con calma.
Stringete i denti ed esalate il respiro
dalla bocca, espellendo l’aria lentamente come una
brezza mattutina che scaccia la nebbia.
Inspirate piano con il naso e
rinfrescherete il vostro sangue riempiendo il vostro
tanden
con l’aria fortificata dai raggi del sole, alla maniera
dei fiori che assorbono le onde dell’etere”.
In pratica riempiendo l'addome d'aria, si
mantiene molto meglio l’equilibrio; questo è dovuto alla
concordanza che c’è tra baricentro e addome. Perciò, in
ogni azione di spostamento, squilibrio o di bloccaggio,
un buon Judoka non deve mai dimenticare che tutti i
movimenti devono essere eseguiti tenendo presente la
posizione del centro di gravità in quel momento.
L’impiego dell’energia
Non appena è possibile, il Judoka deve comprendere che
l’essenza della sua “Via” consiste nell’impiegare nella
maniera più intelligente possibile l’energia sotto tutte
le sue forme e in qualunque luogo. Questo efficace
impiego non è sempre forzatamente economico, ma è sempre
il più adeguato allo scopo cui si vuole giungere.
Mediante la padronanza perfetta dell’impiego
dell’energia, il Judoka comprende che questa efficienza
è applicabile non soltanto per sconfiggere un
avversario, ma anche per riuscire in qualunque azione
fisica e mentale nella vita di tutti i giorni. Ma in
quale modo il
Jiu Jitsu può condurre ad un simile risultato? È
innanzi tutto una questione di tempo e di progressione
sapientemente studiata. Il principiante riapprende l’uso
elementare del proprio corpo mediante gli spostamenti (shintai
e tai sabaki),
le cadute (ukemi)
e gli squilibri (kuzushi).
Quindi l’apprendimento delle proiezioni ed
immobilizzazioni lo conduce lentamente ad un maggior
controllo dell’impiego del corpo. Nell’attacco come
nella difesa, gli sarà allora utile conoscere i
principali elementi di meccanica generale, le leve, la
composizione delle forze, il momento di una forza,
ecc... e applicarli allo studio e pratica delle tecniche
di Jiu Jitsu.
Il concetto di velocità giocherà un ruolo importante,
così come lo studio delle variazioni del centro di
gravità . Senza diventare un fisico, il Judoka assimila
le nozioni elementari di questi principi mediante la
pratica regolare dell’allenamento seguito da un valido
Maestro. A poco a poco, tutte le azioni sul tatami
diventano razionali, efficaci ed automatiche. La
tecnica si affina e nozioni più complete, come
l’interazione dei gruppi muscolari, la forza d’inerzia,
la forza centrifuga, i riflessi, possono essere
assimilate con una più profonda comprensione dei
fenomeni neuro-muscolari e puramente mentali. Quando i
muscoli sono perfettamente esercitati, flessibili, forti
e rapidi, è necessario impiegarli al massimo della loro
efficienza ed allora lo spirito gioca un ruolo
primario. Questa è d’altronde la tappa finale. Lontana
è l’idea di esporre nei dettagli tutti i punti enumerati
in precedenza, ma certi elementi sono troppo importanti
per la riuscita e la progressione di uno studio serio
del Jiu Jitsu
per poterli passare sotto silenzio:
-
L’applicazione di una forza
terrà sempre conto del principio del braccio di leva.
Il punto di applicazione sarà il più lontano possibile
dal punto d’appoggio, cioè il braccio della leva sarà
il più grande possibile. Più il braccio di leva è
grande, più lo sforzo diminuisce.
-
Nel caso di una tecnica che
utilizza soltanto il momento di una forza, come
sasae tsuri
komi ashi, uki otoshi, o soto otoshi, ecc... si
tratterà di bloccare il più in basso possibile (piede)
e di tirare il più in alto possibile (spalle). Nel
caso di una coppia di forze (due forze applicate in
senso contrario) come in o-soto-gari, hane-goshi,
ecc... un elemento da ridurre al massimo è lo
strisciare al suolo.
Tori
dovrà dunque applicare la trazione superiore (spalle)
e far cadere il centro di gravità di
Uke sul
suo (cardine) al fine di applicare la forza interiore
(piede o gamba) alla coppia di forza.
-
Parecchi elementi frenano
l’azione di
Tori ed egli dovrà tenerne conto per agire con
efficacia. I più importanti sono la pesantezza,
l’inerzia, l’attrito, le forze interne (muscolari,
ossee, ecc...). Negli spostamenti di
Uke
questi diversi elementi giocano un ruolo importante
nel momento in cui il baricentro di questi è situato
sopra il centro del poligono formato dai piedi
(superficie trapezoidale ottimale): la posizione è
stabile, solida e difficilmente attaccabile senza
grandi dispendi di energia. Ora,
Uke
deve immancabilmente portare il peso del corpo da una
gamba all’altra per spostarsi, da cui lo spostamento
del baricentro alzandosi ed abbassandosi. Quando le
gambe sono divaricate e il busto è eretto, la base è
ampia e il baricentro è centrato; quando un piede
passa all’altezza dell’altro, la base viene ridotta al
minimo e il baricentro si trova nel punto più critico.
La posizione è allora precaria e facile da sbilanciare
senza grande sforzo. Si farà dunque attenzione ad
applicare un attacco sull’avversario in questa
posizione poco stabile, facile da spezzare come tempo
e sforzo.
-
Per quanto riguarda il
principio “spingete se vi tirano e tirate se vi
spingono”, sarà utile approfondire questo punto di
vista e sapere in quale modo i Maestri lo applicano
realmente. In primo luogo, non si tratta di tirare
l’avversario non appena inizia a spingervi, ma di
arretrare più lontano e più in fretta di quanto egli
desiderasse. Lo stesso, se l’avversario tira, avanzate
più di quanto pensasse. In secondo luogo, la reazione
“flessibile” all’attacco deve essere molto rapida.
Occorre cedere nell’istante in cui l’avversario
concepisce l’attacco e comincia la sua azione. È così
che un Maestro attaccare positivamente prendendo
l’iniziativa, mentre in realtà il suo avversario si
apprestava ad attaccare egli stesso!
-
Infine, occorre sempre
cedere all’azione dell’avversario, non in linea retta,
ma in cerchio. Per agire in tempo, è necessario avere
almeno la stessa rapidità della velocità d’attacco
dell’avversario. Ora, cedere in linea retta è un
movimento di traslazione molto più lento della
rotazione. Inoltre, in quest’ultimo caso, il
baricentro del corpo praticamente non si sposta.
Occorre dunque applicare il principio della palla, di
cui il Maestro Kyuzo Mifune è ardente promotore.
Questo principio insegna che bisogna identificarsi,
tanto nell’attacco quanto nella difesa, con una palla.
Spingete una palla, essa ruota e arretra, tiratela,
piroetta e avanza. Se potesse muoversi da sola nel
momento della vostra azione e ruotare su se stessa,
scivolereste su di lei, senza poterla spostare. Il
vostro corpo, con molto esercizio, può diventare una
palla che si muove da sola! Il principio resta valido
per l’attacco: ruotate sotto il centro di gravità del
vostro avversario e lo fate girare intorno al vostro
corpo. Il sommo della perfezione consiste nell’unire
il principio “ruotante”, “sfuggente” della palla ad
una grande velocità d’azione autonoma. Per riuscirvi,
occorre, da una parte, perfezionare lo
shintai
e in particolare il
tai sabaki
e, d’altra parte, aumentare la prontezza dei riflessi.
Ma, se la tecnica e l’allenamento sono indispensabili
per riuscirvi, l’attitudine mentale adeguata è più
importante ancora.
Energia, stato mentale e spirito
L'armonia perfetta tra mente e corpo è lo stato ideale
del Jiu jitsu
. Ogni Jitsoka dovrà adattarvisi progressivamente prima
di aver preparato il proprio corpo a questo stato
spirituale eccezionale. Non soltanto risolverà il più
presto possibile i suoi problemi di irrigidimento, paura
e altri atteggiamenti inibitori, ma si sforzerà di non
accordare un’importanza troppo grande alle sue azioni e
a quelle degli avversari. Manterrà uno spirito vigile,
attento ad ogni cosa, ma senza privilegiarne alcuna.
Sarà presente in ogni istante, aperto a tutto quanto può
accadere, concentrato ma rilassato. Lo spirito
flessibile, fluido come l’acqua, ricettivo, che si
adatta a tutte le situazioni, sarà tuttavia
inafferrabile. Ad ogni azione dell’avversario, il
Jitsoka deve opporgli il vuoto, il nulla. Con un simile
stato mentale (e fisico), tutte le schivate, ma anche
tutti gli attacchi divengono possibili.
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