Il
Ju-Jitsu nasce, almeno come nome, nel medioevo
giapponese. Era infatti una delle sette arti marziali
che il Bushi (1) doveva saper
praticare. Letteralmente significa "Arte della
cedevolezza" o "Arte gentile" (Ju = gentile, Jitsu =
arte), quindi con l’obbiettivo preciso di fare il minimo
sforzo per neutralizzare l’avversario.
In Giappone col passare dei secoli diverse
scuole sono nate e si sono sviluppate all’ombra dei
grandi maestri che si sono succeduti. Alla fine del 1800
il maestro Jigoro Kano (1860-1938), con lo scopo
di far confluire in una disciplina sportiva lo stile de
Ju-Jitsu, trasse da questo una serie di tecniche "non
pericolose" che potevano essere applicate in un
combattimento non cruento. Questa applicazione parziale
del Ju-Jitsu prese il nome di Judo.
Il Ju-Jitsu, come lo praticano oggi, non è
propriamente quello classico giapponese, ed è per questo
che dopo diversi anni di stage pratici e teorici nei 4
angoli del mondo ho deciso di tramandare il vecchio
stile guerriero, molto più pericoloso e violento “ Jiu
Jitsu Combat o Ronin Ju Jitsu
(1)
- il samurai o guerriero del medioevo giapponese.
Il primo
obbiettivo di una lezione di Ju-Jitsu è divertirsi.
Ritengo che l’aspetto ludico della disciplina sia
fondamentale non solo per i più giovani, ma anche, e
soprattutto per tutti coloro che, nella stressata vita
di tutti i giorni non trovano più lo spazio per
concedere un po’ di tempo a sé stessi e alla propria
gioia di vivere.
Muoversi, coordinarsi, eseguire esercizi più o meno
difficili in coordinazione con il proprio corpo e il
proprio spirito dona al praticante soddisfazione,
tranquillità e appunto gioia di vivere. E’ necessario
non dimenticare questo concetto, a parere mio
fondamentale.
Sostanzialmente la lezione tipo si suddivide in tre
momenti: riscaldamento, esercizi e studio, defaticamento.
E’ bene ricordare che la lezione si svolge generalmente
nell’arco di un ora e mezza, due o tre volte la
settimana.
Il saluto
iniziale, dove allievi e istruttori si sistemano in
ordine gerarchico attorno al tatami, crea di fatto una
interruzione nelle normali attività quotidiane,
invitando tutti i partecipanti ad entrare nel mondo
dell’arte marziale, accantonando momentaneamente tutti i
problemi della giornata, con la mente sgombra e pronta
per la successiva lezione.
Il riscaldamento, per forza di cose breve, occupa i
primi dieci, quindici minuti della lezione. Allievi ed
istruttori dedicano questi minuti al proprio corpo,
eseguendo alcuni esercizi a corpo libero, mirati
all’attivazione muscolare e circolatoria, al
potenziamento della muscolatura, al miglioramento della
resistenza fisica, nei limiti stabiliti dal tempo a
disposizione e dalle caratteristiche fisiche del singolo
praticante. Per i più piccoli si prediligono esercizi di
coordinazione psicomotoria, con l’esecuzione di uno o
più movimenti contemporanei e coordinati, mentre per gli
adulti gli esercizi comuni a molte discipline sia
marziali che non, possono essere integrati con
esecuzione di movimenti ispirati a forme di studio (kata)
o con simulazioni di tecniche di proiezione, con cicli
di ripetizione più o meno rapidi.
Al termine del riscaldamento si eseguono generalmente
serie di “cadute” (ukemi) esercizi dove il praticante si
lascia cadere a terra in diverse direzioni e con diverse
modalità , con lo scopo di migliorare la capacità
dell’allievo di subire le stesse tecniche che, nel corso
delle lezioni, applicherà ai suoi compagni di studio.
Esistono diverse tipologie di esercizi all’interno di un
normale svolgimento delle lezioni del Ju Jitsu Combat,
che si posso riassumere in due generi: singolo e a
coppie.
Il lavoro eseguito da soli è lo studio di kata, ovvero
serie di movimenti che replicano situazioni di
combattimento, da avversari simulati. I movimenti devono
essere eseguiti in serie ben precise, e con modalità
predefinite. Questi kata oltre a tramandare l’arte, lo
stile e la tradizione specifica della nostra disciplina
da maestro ad allievo, hanno lo scopo di sviluppare le
capacità di coordinazione, orientamento ed equilibrio
del praticante.
Il lavoro
eseguito in coppia, di vario genere e applicazione, ha
lo scopo, oltre logicamente a quello di insegnare il
Ju-Jitsu, di migliorare le proprie capacità di
relazionare con i propri compagni. Il contatto fisico,
il prendersi per il kimono, la cura che si deve avere
per il proprio compagno di lavoro al quale si applicano
le tecniche inserite nel programma creano un vero e
proprio canale di comunicazione con l’altro allievo,
canale che trasmette e riceve e che obbliga, di fatto,
l’allievo a creare una relazione comunicativa con il
compagno di lavoro. Questo porta, come appurato in
lunghi anni di lavoro, in un miglioramento delle proprie
capacità di relazione, non essendoci, durante la
lezione, nessun tipo di limite molto spesso presente
nelle quotidiane situazioni (famiglia, lavoro, ecc.)
E’ lo stesso tipo di rapporto che lega le persone a
bordo di una piccola barca, o durante un viaggio, dove
lo scopo comune, in questo caso l’apprendimento del
Ju-Jitsu, crea desiderio di comunicare e forti legami
fra i partecipanti all’attività .
Il programma del Jiu Jitsu Combat è di fatto piuttosto
complesso e ampio per essere affrontato in una sola
lezione, per cui nella lezione è l’istruttore che
assegna l’argomento di studio agli allievi, aggiungendo
nuovo materiale o facendo ripetere varie volte
l’esercizio già imparato cercando di aiutare l’allievo a
migliorarne l’esecuzione.
A volte, quando l’istruttore ritiene che gli allievi ne
abbiano la necessaria preparazione, sono svolti anche
esercizi creativi, dove l’allievo viene chiamato a
compiere tecniche spontanee, ricavate dal bagaglio della
propria preparazione tecnica. In questo caso l’allievo
esegue senza suggerimento alcune serie di tecniche da
solo, o con l’aiuto dei compagni, confrontando poi il
lavoro svolto con quello del gruppo in cui è inserito e
con l’opinione e l’esperienza dell’istruttore.
In genere l’istruttore propone esercizi di vari gradi di
difficoltà , dipendenti dalla preparazione degli allievi
presenti alla lezione, anche perché non tutti gli
allievi apprendono con la stessa velocità le tecniche
proposte nella lezione. Spesso è necessario ripetere più
volte la tecnica, cosa che del resto non fa male nemmeno
agli allievi più bravi “mille volte è apprendimento,
diecimila volte è perfezionamento”.
Le lezioni per i più piccoli si svolgono con meno
seriosità , curando forse meno la tecnica vera e
propria, ma cercando di stimolare reazioni psicomotorie
che portano il piccolo allievo a migliorare il proprio
rapporto con il gruppo, a portare rispetto al compagno e
al maestro, a sviluppare il senso dell’equilibrio e
della coordinazione, ad insegnare al proprio corpo ad
imparare, stimolando l’agonismo, seppur incruento, e la
fantasia del giovane allievo.
Inserito in un contesto giocoso, il bambino apprende le
prime regole base della società , imparando ad avere
cura del proprio compagno e controllo nei movimenti
eseguiti.
Non esiste una vera e propria tipologia di allievo,
tutti possono praticare il Ju-Jitsu, e tutti ne possono
trarre dei benefici.
Per gli agonisti è possibile gareggiare ed arrivare a
livello europeo e mondiale e per gli amatori è possibile
partecipare a stage e lezioni che possono integrare e
ampliare i concetti studiati durante le lezioni normali.
La lezione termina solitamente con un breve
defaticamento, con stretching o corsa leggera, esercizi
di rilassamento . Al ritmo di due, tre volte la
settimana un allievo medio impiega dai sei agli otto
anni per conseguire il grado di cintura nera, al quale,
con un altro po’ di lavoro, si possono aggiungere dei
gradi superiori, con i tempi e i ritmi dovuti.
Se mi è qui consentita una riflessione, applicabile a
qualsiasi altra disciplina marziale, al contrario degli
sport puramente occidentali ed agonistici, come il
calcio, il basket o altri sport molto popolari, dove
dopo un periodo di auge dovuto alla giovane età , segue
un inevitabile declino, portando magari colui che era un
buon campione, a giocare nella squadra del bar (senza
nulla togliere a queste mirabili istituzioni) con l’arte
marziale lo sviluppo è continuo e progressivo, e al
naturale calo fisico si aggiunge uno sviluppo tecnico e
mentale che progredisce con il proseguimento dello
studio, portando l’atleta, oramai diventato maestro, ad
ottenere risultati veramente considerevoli
LA DIFFUSIONE DEL JU
JITSU
La diffusione dei Ryu di Ju Atsu in tutto il Giappone
ebbe origine fondamentalmente dai Ronin (Samurai senza
padrone), che non avendo un'occupazione stabile presso
uno Shogun (Generalissimo, Governatore Supremo nominato
direttamente dall'Imperatore) o un Daimyo (Grande Nome,
Signore di un clan o Governatore di una Provincia),
creavano un Ryu e divulgavano la loro conoscenza
marziale e l'esperienza di combattimento reale maturata
sui campi di battaglia.In origine il Ju Jitsu era dunque
un'arte, o una tecnica, per rendere inoffensivo ed
elimínare uno più avversari. Questo purtroppo fece sì
che diventasse anche un tremendo strumento di offesa per
chi lo usava impropriamente, come i briganti e gli
assassini assoldati dai Jonin (i mandanti del crimine);
di conseguenza la gente comune aveva una pessima
opinione del Ju Jitsu ritenendolo solo uno strumento di
violenza. Alla fine del XIX secolo, con il progresso e
la diffusione delle armi da fuoco, lo studio e la
pratica del Ju Ltsu perse in larga parte la sua
importanza e utilità effettiva e così i Ryu persero gli
Ryusha. Molti Sensei morirono senza poter lasciare a
nessun discepolo il Densho e il loro sapere; altri si
fecero affascinare dal le nuove discipline nate dalla
passione e dallo studio di nuovi Soke, come Jigoro Kano,
Gichin Funakoshi, Moriliei Ueshiba: il Ju Jitsu stava
scomparendo.Per fortuna parecchi Ryu sopravvissero a
quest'oscuro periodo e con uno spirito nuovo, di studio
per la tradizione e la vita, abbinando concetti
filosofici di mutua prosperità e di pace, combattendo il
concetto di violenza e di morte, il Ju Etsu si rigenerò
tornando a essere apprezzato come disciplina non solo
marziale ma di vita, ritrovando quei valori morali ed
etici che si erano persi nel tempo. Kyusho (i punti
vitali): il Bushi doveva conoscere tutti i punti
vulnerabili del corpo umano per sapere come
neutralizzare in modo definitivo un avversario. Tarneshi
Giri (la prova del taglio): studio che consiste
nell'allenamento al taglio di fascine di paglia di riso
o di anne di bambù verdi con lo scopo di constatare la
reale efficacia di una tecnica di Ken Rtsu. Nell'epoca
Edo si raccomandava ai Samurai di provare il filo della
propria Katana su un corpo umano, sia effettuando una
condanna a morte, sia facendo valere il Kírísute Gomen
(il diritto d'uccidere impunemente).Juken Jutsu (l'arte
di usare il fucile con la baionetta): in atto dal XVII
secolo con massima diffusione anteriormente alla prima
guerra mondiale, alla quale il Giappone partecipò come
alleato di Italia, Francía e Inghilterra. Hojo Jutsu
(l'arte di legare): arte che insegna a ímmobilizzare
rapidamente un avversario legandolo. Utilizzata un tempo
dai Ninja (i guerrieri invisibili, delle tenebre) e in
tempi odierni in alcuni reparti speciali di polizia. Ho
Jutsu (il tiro con l'archibugío): fa parte del Kobudo
(le antiche arti marziali con armi non convenzionali).
LA NUOVA ERA DEL JU JITSU
Lo Shogun, riscontrando nel periodo antecedente alla
restaurazione dell'era Meiji (1868) la presenza di circa
1000 Ryu differenti, alcuni con migliaia, altri con
poche decine di Ryusha, per conferire loro ordine e
ufficialità imparti nel 1843 l'ordine di redigere il Bu
Jutsu Ryu Soroku (il Trattato sulle scuole dell'arte del
combattere) in cui si evidenziavano i 159 Ryu più
importanti dell'epoca. Ancor oggi le autorità giapponesi
preposte scelgono ogni anno 46 Ryu per rappresentaTe i
vari Ryugi nel Taikai (manifestazione sulle arti
marziali tradizionali) che si svolge al Budokan (il
luogo dove si studiano e si praticano le arti marziali)
di Tokyo. 1 Ryu di Ju Jitsu sono in continua evoluzione
tecnica e lo studio e il perfezionamento degli stili non
deriva solo da uno spirito di miglioramento, ma anche
dall'esigenza, come nel passato, di chi deve usufruire
di quest'arte per compiti specifici, come nel caso della
polizia o dei corpi speciali. Negli ultimi anni il Ju
Jitsu si è, infatti, affermato come valido supporto
tecnico a chi vuole affrontare lo studio della difesa
personale. A questo proposito è interessante sapere che
già nel 1947 gli esperti della polizia giapponese
avevano creato il Tailio Jutsu (un metodo per l'attacco
e la difesa), un insieme di tecniche desunte dal Ju
Jitsu e da diverse discipline marziali appropriate per
l'uso negli interventi di ordine pubblico e in azioni
contro la criminalità. Esso comprende inoltre tecniche
di Taihen Jutsu (l'arte di muoversi silenziosamente), di
Keibo Solio (le tecniche di bastone corto attinenti alla
difesa), di Tokushu Keybo (il bastone telescopico) e
molte altre ancora che vengono continuamente aggiornate
e perfezionate.
Il significativo incremento di praticanti del Ju Jitsu
deriva anche da un aumento di richiesta di corsi di
difesa personale: quale risposta tecnica migliore del Ju
Jitsu si può offrire a questa necessità! Il programma da
svolgere è interessante e colpisce per la sua efficacia
pratica; prevede ogni tipo di gesto tecnico,
comprendendo proiezioni, percosse, leve articolari e
tutto quello che serve nel corpo a corpo o nel
combattimento a corta distanza.
Le tecniche di Ju Jitsu, correttamente insegnate e
apprese, costituiscono un valido ed efficace sistema di
autodifesa, anche per la loro intrinseca caratteristica
di tecniche difensive e quindi di risposta a
un'aggressione altrui.
Certo, i Maestri devono trasmettere al principiante i
punti fondamentali della pratica e dello studio
marziale: si devono evidenziare dunque durante
l'insegnamento le caratteristiche etiche ed educative
della "tradizione degli antichi Ryu" e infondere uno
spirito di reciproca collaborazione tra gli allievi per
progredire insieme.
L'apprendimento delle tecniche di Ju Jitsu come metodo
di autodifesa comporta però un'analisi delle linee di
comportamento e di approccio al sistema per certi versi
radicalmente differente rispetto alle norme che hanno
sempre regolato, e regolano tuttora, la pratica di
un'arte marziale tradizionale all'interno di un Dojo o,
nella nostra cultura occidentale, di una palestra.
Le nuove prospettive offerte dalla richiesta di corsi
specificamente destinati alla difesa personale, solo
apparentemente in contrasto con lo l'spirito" del Ju
Jitsu, impongono quindi l'esame di aspetti spesso
tralasciati, ma non totalmente estranei alla pratica
delle discipline marziali orientali come lo studio di
elementi di psicologia e la conoscenza della
regolamentazione giuridica dell'utilizzo di tecniche di
Ju Jitsu a fini di autodifesa.
Ogni fatto o azione che arreca ad altri un danno
ingiusto o è contrario a una norma di legge è definito
illecito. Chi commette un illecito è soggetto a una
sanzione: è quindi responsabile, cioè è chiamato a
risponderne.
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