DAITO-RYU
AIKIJUJUTSU Scuola tradizionale giapponese di
bujutsu
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La casa giapponese
La casa
giapponese ha delle peculiarità che ne sottolineano quanto sia stato
importante, nella storia del suo sviluppo, il ruolo delle condizioni
ambientali, soprattutto climatiche e sismiche. La frequenza di
scosse telluriche ha fatto prediligere sin dal passato la struttura
in legno che di conseguenza permette la costruzione di case piccole
ad uno o due piani. Le fondamenta sono di pietra e il pavimento del
piano terra è rialzato, grazie ad un vespaio, per permettere sia una
migliore circolazione dell'aria sia una maggiore flessibilità e
capacità di attutire le scosse sismiche. Il clima, con lunghe estati
tropicali con alto tasso di umidità, a fronte di relativamente brevi
inverni di freddo secco impone di affrontare il caldo estivo con
ambienti aperti, facendo circolare l'aria il più possibile. Per
questo motivo, internamente, la casa tradizionale ha una struttura
aperta: potendo rimuovere pareti scorrevoli, si rendono comunicanti
ambienti attigui. Senza l'uso di corridoi si può passare da
un'ambiente all'altro attraverso leggere porte scorrevoli pannellate
con carta. L'occidentalizzazione ha introdotto nuovi materiali e
tecniche che hanno permesso la costruzione di palazzine a più piani
e suddivise in mini appartamenti, ma non sono scomparse le case
costruite con metodi più tradizionali con struttura in legno. La
casa ideale per molti giapponesi è una casetta singola a due piani
con un piccolo giardino e garage cinto da un muro o da una siepe.
Questo tipo di casa unifamiliare si è sviluppato nei dintorni delle
grandi città ad una distanza anche di due ore di treno dal centro. A
causa della rapida urbanizzazione, dell'aumento demografico e dei
cambiamenti della struttura della famiglia oltre all'allontanarsi
dai centri urbani, la superficie abitativa ha subito una tendenza a
diminuire dagli inizi del secolo ad oggi, specialmente durante gli
anni '80. La superficie media delle abitazioni della classe media
dai 165 mq. degli inizi secolo, scende a 100 mq. agli inizi dell'era
Showa (1926-89) per ridursi ai circa 89 mq. del
1988.
Le
porte
La porta
d'ingresso delle case di oggi sono, in molti casi, in stile
occidentale. Nelle case in legno più datate che troviamo nelle
campagne e nei piccoli centri si osservano ancora porte a pannelli
scorrevoli. Queste 'porte' scorrevoli, che attraggono molto
l'interesse di uno straniero in Giappone, sono molto diffuse, anche
nelle grandi città, all'interno delle case e dei locali pubblici e
di altre strutture. Si chiamano fusuma e sono composte da due ante
molto grandi che scorrendo l'una sull'altra vanno a sovrapporsi. Si
possono asportare facilmente dalla sede in cui scorrono, consistente
in una scanalatura nel pavimento e una nell'architrave sovrastante.
I fusuma occupano in larghezza una parete intera e una volta rimossi
si ottiene continuità di spazio fra due o più locali. Sono telai di
legno rivestiti di carta robusta o di stoffa e spesso decorati con
motivi ornamentali che richiamano paesaggi naturali. Esistono
antichi fusuma con dipinti di artisti famosi, alcuni impreziositi
con lamine d'oro, ancora oggi presenti nei castelli storici del
Giappone medioevale. In uso dall'VIII secolo si chiamavano
fusuma-shoji, ma oggi con il termine shoji si indicano altri
pannelli, ugualmente ad apertura scorrevole, che sono rivestiti da
carta traslucida permettendo alla luce di filtrare all'interno della
stanza. Gli shoji, quindi si adattano alla parete rivolta
all'esterno, fungendo da finestra. Usati anche all'interno,
permettono di creare effetti di luce morbidi e ornamentali, con la
loro caratteristica struttura a riquadri, che non è visibile nel più
solido fusuma. Entrambi i pannelli permettono di essere aperti per
entrare ed uscire da una stanza, non hanno serrature e sono così
leggeri che non ci si può "chiudere dentro", e non ha senso riunirsi
a "porte chiuse" perché da fuori si sente tutto. Da tale
caratteristica delle abitazioni sembra risalire il mancato sviluppo
del concetto di privacy nel Giappone tradizionale.
tokonoma e chigaidana
Nella casa tradizionale, la stanza usata come
soggiorno, o per ricevere gli ospiti, è priva di mobili lungo
le pareti. A parte il tavolino, molto basso per gli standard di
altri paesi visto che non si usano sedie ma ci si siede a terra su
un cuscino (zabuton), la stanza è alquanto sguarnita. Le pareti
possono essere fisse o costituite da fusuma più o meno decorate, ma
l'attenzione andrà ad una parete particolarmente ornamentale che non
troviamo nell'architettura di altre culture e che compensa la
semplicità del resto della stanza. Questa parete presenta una
rientranza, detta tokonoma, la cui base è su un piano più elevato
rispetto al pavimento della stanza stessa. Il tokonoma varia nelle
misure a seconda degli stili e dei periodi storici, può avere una
profondità di oltre mezzo metro e una ampiezza di 1,8 metri,
equivalente all'incirca alla lunghezza di un tatami. Sulla restante
porzione di parete troviamo due o tre mensole fra loro
sfalsate in modo da creare delle eleganti asimmettrie, dette
chigaidana. Le mensole, come la base del tokonoma, sono in legno
levigato e lucido dai colori naturali, la parete di fondo ha
solitamente colori tenui e chiari. Nel tokonoma, troviamo gli
elementi decorativi, che possono mutare a seconda dell'estro
estetico del padrone di casa: un kakejiku (una pittura o una
calligrafia) e una composizione floreale e a volte altri oggetti
artistici.
Il tatami
In una casa il
pavimento è di basilare importanza! In legno, in cotto, in ceramica
o... in tatami! Quest'ultimo è il particolare pavimento della casa
tradizionale giapponese sopravvissuto agli attacchi della
modernizzazione, nel dopoguerra, che ha stravolto i canoni
costruttivi, gli arredi e gli spazi delle abitazioni. In molte case
di oggi pur di non rinunciarvi si è allestita almeno una stanza con
il pavimento in tatami dove esso è l'elemento centrale che le
trasmette il suo inconfondibile profumo, il colore tenue e
rilassante e una particolare calda atmosfera. Sedersi a terra sul
tatami è molto confortevole. Infatti, esso non è compatto e duro, né
freddo. I tatami, di forma rettangolare con un lato doppio
dell'altro, sono disposti in modo da riprodurre degli schemi
prestabiliti che colpiscono per l'apparente asimmetria creando
magici effetti ad incastro. Oggi, il tatami è l'unità di misura
delle stanze di una casa, e in questo caso tatami si dice jô,
così da avere stanze di 4 jô e mezzo, di 6 jô, di 8
jô ecc., misura validamente usata anche per le stanze con
altre pavimentazioni. Le misure non sono sempre le stesse: pertanto
nei templi shintoisti e nel palazzo imperiale di Kyoto troviamo
tatami lunghi 197 cm (daikyô-ma), mentre nel Giappone
orientale è diffuso il tatami di 191 cm (kyô-ma), in quello
occidentale troviamo altre due misurazioni da 182 cm
(ch yô-ma), in uso anche nella provincia di Okinawa, e
da 176 cm (inaka-ma) rispettivamente; infine nei moderni
condomini, nelle case delle grandi aree urbane, si utilizza una
variante più piccola di soli 170 cm (danchi-ma). Ne consegue
che una stanza di 6 tatami (6 jô) è grande circa 11 mq a
Kyoto, 9,9 mq a Naha, ma 9,3 mq a Tokyo e solo 8,6 mq in un palazzo
moderno. Cenni storici Fino al XV secolo il
pavimento in terra battuta veniva ricoperto con assi di legno
levigate; dalla seconda meta' del periodo Heian (794-1185) si era
diffusa l'usanza, particolarmente in presenza di un ospite di
riguardo, di stendere delle stuoie rotonde (enza) per
sedervisi, mentre alla fine del XV secolo appaiono stuoie
rettangolari usate anche per dormire (goza). Il nome tatami,
già in uso nel periodo Heian, indicava stuoie che si potevano
ripiegare ed impilare, dal verbo tatamu che ha tale
significato, per poi essere utilizzato anche per quelle stuoie su
struttura fissa che, dalla fine del periodo Muromachi (XVI sec.),
verranno usate, incassate fra loro, per pavimentare le stanze come
le vediamo oggi. Nel XVI secolo, nel feudo di Bingo (attualmente
la regione orientale della prefettura di Hiroshima), venne
introdotto per la prima volta l'uso degli steli di igusa, un
giunco coltivato nelle risaie, per intrecciare i tatami. Agli inizi
del XVII secolo venne inventata una nuova tecnica di intreccio che
permise di utilizzare anche gli steli corti di igusa, con notevole
risparmio nella produzione di tatami; il feudatario di Bingo ordinò
che tale tecnica rimanesse segreta, esercitando un forte controllo
sulla produzione dei tatami. Per la diffusione del tatami nelle
abitazioni della gente comune bisogna aspettare la fine del secolo
scorso; lo enza si sarà trasformato nello zabuton,
cuscino sul quale ci si siede e il goza avrà tramandato le
sue misure come lo standard per l'attuale shikibuton, il
materasso sul quale si dorme nella camera in stile tradizionale,
ovvero che viene disteso direttamente sul
pavimento. Composizione e materiali Il tatami, è composto di
tre parti: toko, omote e heri, prodotti
da artigiani diversi ed assemblati da un altro artigiano che si
chiama tatamiya. Il toko è la base, spessa da 5 a 6
centimetri, fatta con paglia di riso pressata che può durare diversi
decenni. La paglia di migliore qualità deve essere lunga ma, poiché
la mietitura meccanizzata la trancia in pezzetti piccoli, si è
dovuto persino ricorrere ad importarla dalla vicina Taiwan. Lo
omote, la superficie visibile del tatami, è costituito da
steli di igusa, ben intrecciati e lo heri, il bordo
che decora il tatami sui due lati lunghi, è di stoffa e ce ne sono
di diversi tessuti. Sono tutti materiali naturali che durante
l'inverno e la stagione piovosa erano soggetti ad assorbire umidità
e per questo si usava esporli ad asciugare all'aria aperta, con le
prime belle giornate primaverili; oggi ciò non è più necessario sia
per l'uso di trattamenti particolari sia perché ci sono tatami che
vengono prodotti con fibre sintetiche
Il butsudan e il
kamidana
Nelle case
giapponesi la religiosita' si manifesta con la presenza del butsudan
e del kamidana. Sono due aspetti del credo piu' diffuso in Giappone:
il buddismo-shintoismo. Due religioni che convivono bene anche
nelle mura domestiche. Il butsudan, letteralmente "altare
del Budda", si diffuse nel periodo Edo (1603-1867) quando, in
occasione della persecuzione dei cristiani, venne imposto l'obbligo
di registrazione per ciascuna famiglia al vicino tempio buddista. I
riti inerenti la morte e la venerazione dei defunti divennero
appannaggio, e anche una delle maggiori fonti di sostentamento, dei
templi buddisti Il butsudan e' un altarino sito in una nicchia
che puo' essere chiusa con delle ante o posto in un mobile costruito
appositamente; lo troviamo preferibilmente in una stanza con tatami.
In questo altarino si venerano i propri familiari defunti e una
immagine di Budda. Le anime dei defunti sono rappresentate da
tavolette (ihai) che vengono poste nel butsudan 49 giorni dopo la
morte. Sulle tavolette come anche sulla tomba non si usa piu' il
nome reale di quando si era in vita: viene scritto un nome postumo
attribuito dal prete del tempio buddista di appartenenza. Nel
butsudan si offrono cibo, fiori e incenso ai defunti e si
leggono testi buddisti. L'altarino shintoista si chiama
kamidana, letteralmente "mensola per gli
dei".
Su questa mensola che, a seconda della divinita'
venerata, si puo' trovare in diverse parti della casa, si
offrono sake, candele e riso bianco. Sembra sia in
declino la popolarita' di questo secondo tipo di altare,
mentre il butsudan ha piu' forti radici e coinvolgimento
emotivo.
DAITO-RYU
AIKIJUJUTS Scuola tradizionale giapponese di
bujutsu
Storia
dell'Aikijujutsu
La genesi
di quest'arte risale intorno all'anno Mille, e la sua evoluzione
prosegue per tutto il periodo dell'epopea feudale giapponese,
epopea raccontata e cantata in romanzi, storie e film che hanno
dipinto in Occidente la figura del nobile guerriero (bushi), o
samurai (uomo che serve). Questa scuola si è tramandata nel
segreto, e per quasi un millennio, le tecniche di combattimento di
varie discipline tra le quali l'arco, la spada, la lancia,
l'alabarda ed il corpo a corpo, attraverso i capo scuola (Soke), che
erano tutti membri della famiglia (clan) Takeda. Gli
insegnamenti erano volti alla formazione militare dei guerrieri
e dei dignitari del clan in misura delle loro cariche e delle
loro funzioni. Infatti i militari (d'ogni ordine e grado)
studiavano sin da giovanissimi sia i principi morali che li
avrebbero guidati (bushido) che le tecniche che avrebbero usato
in battaglia. Tra le arti militari che il nuovo clan Takeda già
insegnava nel 1087 vi erano l'arco, l'equitazione, la lancia,
l'alabarda, la spada, la strategia militare (impianti idrici, scavi
e fortificazioni) e ovviamente anche il combattimento corpo a
corpo, che si dice fosse stato adattato dagli avi di Minamoto
Yoriyoshi (padre del fondatore dell'arte) derivandolo dalla Tegoi.
La Tegoi era una forma di lotta autoctona ancor più antica da
cui pare avesse tratto origine anche il sumo. Già in epoca Heian
(794 - 1185) fu codificata e documentata la struttura delle
prime tecniche (di ciò che poi sarebbe divenuto il Daito-ryu
Aikijujutsu), e si trova una tale attenzione verso quell'uso
armonico dell'energia, che in epoca successiva (Edo, 1603-1867)
era già nota con il nome di "Aiki-in-yo-ho" ("dottrina dello spirito
basata sullo yin-yang"). Due furono le aree di sviluppo del
Daito-ryu Aikijujutsu: l'arte dell'aiki (aiki no jutsu) e
lo jujutsu . Le tecniche di "aiki" furono peculiari e nodali
nello sviluppo della scuola Daito e ne costituirono da subito
l'aspetto caratterizzante (ancor oggi), pur essendo solo un aspetto
che va considerato insieme alle altre tecniche di jujutsu quali
percussioni (atemi), strangolamenti (shime), chiavi articolari
(kansetsu), pressione su punti vitali (kyushu), proiezioni
(nage). L'integrazione di queste due grandi aree di sviluppo
(aiki no jutsu e jujutsu) è al centro dello studio del Daito-ryu
Aikijujutsu. Gli studiosi dividono le epoche storiche del
Giappone dopo la fondazione della capitale fissa (epoca Nara,
710-794) in: Heian (fino al 1185) caratterizzata dal predominio
della corte imperiale; Kamakura, che inizia con lo shogunato
militare (e dura fino al 1333); Ashikaga (fino al 1392); Muromachi
(fino al 1572) e Momoyama (fino al 1603, ma questa data è
controversa: alcuni sostengono 1600 altri 1615), che sono
caratterizzate da guerre intestine; e finalmente Edo, detta anche
"Pax Tokugawa" (fino al 1867) che termina con l'abolizione dello
shogunato e la restaurazione del potere imperiale (epoca Meiji )
e la trasformazione del Giappone in potenza industriale. Il nome del
clan Takeda ricorre nella storia giapponese, e i suoi personaggi
rispecchiano il carattere indomito e risoluto dei bushi. I fatti
d'arme di questo clan si rincorrono e s'intrecciano nelle
vicissitudini militari e politiche del Paese. Il quadro che
segue indica alcuni tratti che legano la storia del Daito-ryu
Aikijujutsu e del suo clan al passato feudale del Giappone. La
tradizione orale del Daito-ryu Aikijujutsu (Grande Scuola d'Oriente
dell'Aikijujutsu) attribuisce l'origine dell'arte a Shinra
Saburo Yoshimitsu Minamoto (1057-1127) terzo figlio di Yoriyoshi
Minamoto discendente della quinta generazione dell'imperatore
del Giappone, della dinastia Minaomoto, Fujiwara Seiwa
(850-881). Il clan Minamoto era uno dei maggiori del Giappone e
Yoriyoshi Minamoto, principe militare ereditario (daymio) della
provincia di Chinjufu era stato inviato dall'imperatore a sedare
una rivolta del clan Abe. La guerra durò per 11 anni (1051-1062)
sino a quando Sadatou Abe fu sconfitto nella battaglia di Yakata
Koromogawa. Successivamente i figli di Yoriyoshi combatterono nella
guerra Gosannen (1083-1087) contro il clan Kiyohara. Minamoto
Yoshiie (uno dei figli) era in difficoltà, fu raggiunto dal
fratello Yoshimitsu e insieme espugnarono la fortezza di Kanazawa.
Dei due si racconta la ferocia e l'innovativo approccio
"scientifico" all'arte marziale: avrebbero sezionato i cadaveri dei
nemici sconfitti per meglio comprendere il funzionamento delle
articolazioni che erano coinvolte nelle tecniche di kansetzu
proprie dell'Aikijujutsu di cui era maestro Yoshimitsu. Yoshimitsu
era il signore del castello di Daito (da cui deriva poi il nome
dell'arte), ma il figlio Yoshikiyo al termine della guerra si
trasferì a Takeda nella provincia di Kai dove assunse il nuovo
nome di Yoshikiyo Takeda. I documenti certi (anche non di
proprietà del clan) risalgono a questo periodo, e precisamente
al 1087, quando Yoshikiyo Minamoto, trasferitosi nella provincia
di Kai vicino all'attuale Tokyo, fonda il nuovo clan, il Kai genji
Takeda, appunto. (Epoca Heian 794 - 1195). Nasceva così il clan
Takeda, al cui capostipite lo Shogun concesse il titolo
ereditario di principe militare con tutti i diritti propri dei
vassalli feudali (daymio). Sebbene le circostanze circa le
origini del Daito-ryu Aikijujutsu prima del 1087 non sono
documentabili, e benché le vicende e i fatti attribuiti alla
genealogia del clan non abbiano riscontro certo prima di tale data,
è opportuno notare che i membri del clan Minamoto, e quindi
Yoshokyio, il padre Yoshimitsu, lo zio Yoshiie, e il nonno
Yoriyoshi, sono tutti personaggi citati non solo nelle antologie
del clan Takeda ma anche altrove in testi indipendenti che
riferiscono del periodo Heian e che riportano le medesime battaglie
e guerre. Dopo il 1087 s'incontrano sia fonti orali che scritte
che molto aiutano nella ricostruzione storica della scuola e del
clan Takeda. Alcuni di questi racconti ci sono giunti attraverso
la famiglia Takeda (Tokimune Takeda, ultimo soke) raccolti sia
da Stanley Pranin nel 1994 nel suo libro "Interviste ai maestri
di Daito-ryu Aikijujutsu" sia da altri autori, nonché da Matsuo
Sano e Shigemitsu Kato (allievi interni - uchideshi - dell'ultimo
soke), in interviste rilasciate all'autore. Tra le battaglie
documentate vi sono quella per il castello di Kanazawa (sopra
descritta) vinta da Yoshimitsu Minamoto, il 14 novembre 1087
(periodo Heian 794 - 1195); La guerra contro Kenshin Uesugi,
daymio di Echigo, vinta dal daymio Takeda Shingen nel 1561 al
servizio dello shogun Hashikaga (periodo Muromachi 1392 - 1572);
le campagne militari che vedono il clan Takeda al servizio dello
shogun Hashikaga contro Oda Nobunaga e Ieyasu Tokugawa, campagne
vinte dal daymio Takeda Shingen (1570-1572); l'assalto della
cavalleria pesante Takeda contro gli eserciti combinati di Nobunaga
e Tokugawa, sette volte maggiori in numero, assalto in cui
morirono tutti i 15.000 cavalieri del clan Takeda che, leali al
bushido, rifiutarono di usare le armi da fuoco di cui invece
disponeva l'avversario: è l'epica battaglia di Nagashino no
Kassen del 21 maggio 1575 (periodo Momoyama 1572 - 1603); la caduta
dell'ultimo baluardo del clan Kai-Takeda nella primavera del
1582 quando la provincia di Kai è invasa dalle armate combinate
di Nobunaga e Tokugawa: il daymio Takeda Katsuyori, sconfitto esegue
il seppuku con tutta la famiglia. L'assassinio del daymio Takeda
Shingen sulla strada per Kyoto (inverno 1572) segna per taluni
storici la fine dell'era Muromachi (1392 - 1572) dominata dalla
dinastia Hashikaga: questi avvenimenti sono narrati, pur con
l'adattamento necessario ad una trasposizione cinematografica, nel
celebre film del regista Akira Kurosawa "Kagemusha, L'ombra del
Guerriero" che descrive gli ultimi anni di quest'era tracciando
la biografia del daymio Takeda Shingen e delle sue campagne
militari. Le ultime volontà del daymio Takeda Shingen, ormai
conscio del destino della dinastia Ashikaga, dettano al nipote,
Takeda Kunitsugu, di trasferirsi presso il daymio della
provincia di Aizu, Moriuji Ashina, a lui ancora fedele.
Quest'ultimo accoglie il reggente Takeda Kunitsugu regalandogli
delle terre ed un castello. Sarà Takeda Kunitsugu,
impareggiabile maestro delle arti marziali di famiglia a continuare
il nome del clan Takeda e della scuola nei secoli a venire. Da
allora il clan Takeda si chiude nel riserbo più assoluto (era il
clan che aveva osato resistere all'astro nascente del nuovo shogun!)
e solo i dignitari superiori del clan Aizu (oltre ai membri di
famiglia del clan Takeda) potevano ricevere gl'insegnamenti della
scuola Takeda in riconoscimento del dono fatto a Takeda
Kunitsugu dal daymio di Aizu, Moriuji Ashina. Da allora, questo
ramo del clan Takeda diviene noto con il nome di Aizu-Takeda per
distinguerlo dal clan Kai-Takeda. Nel 1600 nella battaglia di
Sekigahara, Ieyasu Tokugawa sconfigge Hideyosi e apre un nuovo
periodo che prenderà anche il suo nome: periodo Tokugawa, noto
in genere come periodo Edo (1603-1867) durante il quale, per
circa 250 anni, il paese godrà della pace imposta dal nuovo shogun.
Uno dei primi editti del suo governo militare (bakufu) è la
riconciliazione con tutti i vecchi clan sconfitti nel periodo
Momoyama (1572-1603). Con la sua riabilitazione politica anche
il clan Aizu-Takeda si allinea al nuovo corso e nel 1664, nel
territorio di Mutsu, è documentata l'esistenza del dojo principale
del clan, il Nishinkan, che le narrazioni dell'epoca
avvolgeranno in un alone di mito con cui è stato poi per secoli
noto. Lo shogun volle che la sua guardia scelta fosse addestrata
esclusivamente dal clan Takeda così che, ben presto, molti
dignitari del governo di Tokugawa vollero istruirsi al
Nishinkan, o ricevere istruzione dal clan Takeda direttamente a
Edo. Nel 1674 alcuni documenti segnalano che l'influenza del
Nishinkan del clan Takeda si è espansa su tutto il territorio
d'Aizu, intorno al quale fioriscono molte scuole marziali principali
che insegnano solo ai bushi del clan Aizu. Si contano 5 stili di
scherma, 2 di jujutsu (la famosa Mizu no Shinto-ryu e
Shinmyo-ryu) proprie del clan Aizu più una miriade di scuole
private che insegnano anche ai samurai di minor rango: 22 di
scherma, 16 di jujutsu, 16 d'armi da fuoco, 14 d'estrazione della
spada, 7 di tiro con l'arco, 4 di lancia e 1 d'alabarda,
falcetto con catena, bastone, lotta con l'armatura senza armi. Per
due delle scuole citate vige il divieto di fornire dimostrazioni
in pubblico. Sono le due scuole segrete del clan Aizu -
l'Oshikiuchi (già Aiki-in-yo-ho, poi Daito-ryu Aikijujutsu) del clan
Takeda e il kenjutsu di Misoguchi ha Itto-ryu del clan Aizu.
Dopo 250 anni di pace e d'isolamento dal resto del mondo, la
decadenza della classe militare e lo scontento dei clan
dell'ovest che avevano minori privilegi, creano le condizioni per lo
scoppio della guerra Boshin (la guerra civile del 1868, che pose
fine allo shogunato). Leali allo shogun Tokugawa si schierarono
alcuni clan principali, sotto la guida del clan Aizu, mentre quelli
dell'ovest, con in testa quello di Satsuma e di Choshu,
guidarono la rivolta a Edo (la capitale, sede dello shogunato) con
l'intenzione di restaurare la dinastia dell'imperatore Meiji,
che aveva loro promesso alcuni possedimenti e maggiori privilegi
Dopo 250 anni di pace e d'isolamento dal resto del mondo, la
decadenza della classe militare e lo scontento dei clan
dell'ovest che avevano minori privilegi, creano le condizioni per lo
scoppio della guerra Boshin (la guerra civile del 1868, che pose
fine allo shogunato). Leali allo shogun Tokugawa si schierarono
alcuni clan principali, sotto la guida del clan Aizu, mentre
quelli dell'ovest, con in testa quello di Satsuma e di Choshu,
guidarono la rivolta a Edo (la capitale, sede dello shogunato) con
l'intenzione di restaurare la dinastia dell'imperatore Meiji,
che aveva loro promesso alcuni possedimenti e maggiori privilegi.
Nel periodo Edo (1600-1868) la città d'Aizu-Wakamatsu nel
distretto di Aizu era nota per la potenza del castello
Tsurugajo, fatto costruire nel 1384 (periodo Ashikaga) da Ashina
Naomori (all'epoca daymio d'Aizu), e al tempo della rivolta
guarnito dalle truppe del clan Aizu , addestrate dal clan Takeda che
forniva anche i migliori samurai per la guardia dello shogun.
Nel 1868 il nerbo delle forze bene resiste alle forze nemiche,
contro cui combattono anche due formazioni di giovani Takeda
addestrati nell'Oshikiuchi (il futuro Daito-ryu Aikijujutsu): la
squadra Byakkottai (Tigri Bianche) e la squadra Joshigun (l'una
maschile e l'altra femminile, entrambe formate da giovani tra i
15 e i 17 anni). Quando le armate Meiji si avvicinano al castello
Tsurugajo difeso dal daymio d'Aizu Matsudaira Katamori, le due
squadre accorrono in suo aiuto. Vedendo la struttura assediata e
avvolta dal fumo e, pensando al peggio, essi compiono l'unico atto
degno del bushido: il seppuku. Alle porte della città oggi sorge
un monumento in memoria dei giovani Takeda suicidi. La
battaglia, benché ormai persa, in realtà continua altre quattro
settimane, e il castello, che non era in fiamme come avevano
creduto i giovani, è ancora in mano degli Aizu-Takeda. I superstiti,
nell'esempio dell'eroismo delle giovani squadre scelgono di
continuare a combattere sino alla morte, e come in passato, le
famiglie commettono seppuku così che i loro mariti e padri non
debbano preoccuparsi di loro in quanto la sconfitta è ormai
inevitabile. Quando le armate dell'imperatore entrano nel castello
non vi é un sol uomo vivo. In casa del capo-clan Takeda trovano
21 donne e bambini morti suicidi. Terminava così l'egemonia
degli shogun. Ma termina anche un'era, quella dei veri samurai
.Inizia infatti il periodo Meiji (1868-1912), la rivoluzione
sociale che ne segue stravolge il concetto di caste e nessuno può
più portare in pubblico il daisho (le due spade, lunga e corta,
simbolo della classe militare dei bushi). Pochi anni prima era nato
un bimbo: Takeda Sokaku (1860-1943) che all'epoca aveva solo
otto anni. Il padre, Takeda Soikichi, discendente della stirpe
Takeda nel feudo di Aizu, lo aveva nascosto al sicuro, e ben presto
il giovane Takeda oltre a studiare l'arte di famiglia,
l'Oshikiuchi, inizia il suo musha shugyo (pellegrinaggio
d'apprendistato): crescendo con quell'educazione era divenuto,
senza volerlo, un ronin, ovvero un bushi senza padrone - il
nuovo governo aveva abolito le classi e tutta la struttura sociale
dei buke. Studia in tutte le migliori scuole di spada, di lancia
e di bastone del paese sino a divenire talmente abile che pur
portando in pubblico sino alla morte le due spade simbolo della
casta abolita dei samurai, nessuno ebbe mai il coraggio di
disarmarlo. Takeda Sokaku fu molto criticato per il carattere
irascibile e scontroso, per i modi altezzosi e arroganti, e per
il disprezzo che pubblicamente nutriva nei confronti del nuovo
ordine sociale. La sua figura va però misurata nel contesto di
un Paese che soffriva d'una profonda rivoluzione, dove i valori
radicati da millenni nell'animo dei bushi vennero gettati alle
ortiche in pochi anni. Essi vedevano il mondo crollare sotto i
loro piedi. Adeguarsi non era facile, soprattutto per le convinzioni
morali e i condizionamenti così forti che avevano subito sin
dall'infanzia. Alcuni reagirono.Takeda Sokaku volle rinominare
l'arte della scuola e la chiamò "Daito-ryu Aikijujutsu" per
richiamarsi ai nomi e luoghi d'origine dell'arte e del suo clan:
Il castello di Daito del principe Shinra Saburo Yoshimitsu Minamoto
e la particella "Aiki" che derivava dall'antico nome
"Aiki-in-yo-ho" dell'arte in epoca Edo. Takeda Sokaku fu l'uomo che
fece uscire l'arte dal riserbo e dal segreto secolare in cui si
era tramandata, e la insegnò a moltissimi allievi. Benché
analfabeta, teneva corsi e registrava tutto in appositi registri che
faceva compilare e firmare direttamente agli allievi (registri
conservati presso l'honbu dojo di Abashiri) con minuziosità
impressionante, che oggi ci permette di ricostruire molti eventi
con un dettaglio incredibile. Ebbe molti allievi importanti:
ministri, ammiragli, generali, magistrati, potenti magnati
dell'economia
d'inizio secolo, forze di polizia e anche futuri
maestri d'arti marziali tra i quali: Matsuda Hosaku, Takuma Hisa,
Yoshi Sagawa, Yamamoto Kakuyoshi, Taiso Horikawa, Kodo Horikawa,
Yoshita Kotaro, Morhiei Ueshiba e, ovviamente suo figlio Takeda
Tokimune (1915-1993). Allievi di Takeda Tokimune per oltre 30 anni
furono: Matsuo Sano (che fu anche uchideshi - allievo interno -
per diverso tempo), Kato Shigemitsu, Arisawa Gunpachi, Suzuki
Shimpachi , che sono stati preziosi nel raccontare e documentare la
storia del clan.Oggi sono queste persone che hanno il compito di
tramandare questa antica e nobile arte. Alcuni allievi di Takeda
Sokaku in seguito crearono scuole proprie, traendo in misura
diversa dai fondamenti tecnici del Daito-ryu Aikijujutsu: l'aiki
no jutsu e lo jujutsu della scuola. Da esso, infatti, derivano
l'Hakko-ryu, l'Akido, e l'Hapkido, e indirettamente lo
Shorinji-kempo (Draeger, Modern Budo). Un cenno particolare va a
Morihei Ueshiba (1883-1969) che fu allievo di Takeda Sokaku per
più di 20 anni (1915-1936): a partire dal 1915 quando compilò e
firmò il suo nome nel registro della scuola per la prima volta sino
al 1922 periodo durante il quale studiò con assiduità e al
termine del quale ricevette il titolo d'insegnante di Daito-ryu
Aikijujutsu direttamente dal suo maestro Takeda Sokaku. Ueshiba
ebbe il privilegio che non toccò poi a nessun altro allievo di
Takeda Sokaku: per un periodo addirittura poté vivere insieme al suo
maestro con le rispettive famiglie. Anche dopo il 1922, benché
già maestro di Daito-ryu Aikijujutsu quale era, continuò a firmare
il registro delle lezioni di Takeda. Infatti nel 1936 egli
rilasciò gli ultimi diplomi di Daito-ryu Aikijujutsu (tra cui
uno a Mochizuki Minoru, fondatore poi dello Yoseikan Budo).
Ueshiba si firmava << Devoto allievo di Dai Sensei Takeda
Sokaku>>. Con Takeda, infatti, Ueshiba ebbe sempre un rapporto
privilegiato essendo egli il discepolo preferito e più fedele di
Takeda Sokaku. Ueshiba fu un uomo eccezionale sia sul piano tecnico
e su quello umano. Fu un grande maestro di Daito-ryu
Aikijujutsu, ma ancor più fu un innovatore e quando infine
(1942) concepì la sua disciplina (l'Aikido) vi introdusse principi e
concetti morali validi universalmente anche al di fuori
dell'ambito delle arti marziali e della cultura giapponese. Altro
personaggio di spicco del mondo del Daito-ryu Aikijujutsu fu
Shiro Saigo (1867-1922) che iniziò giovanissimo a praticare
Daito-ryu Aikijujutsu con il padre adottivo Tamomo Saigo
(Chikanori Hoshina), eccelso maestro di Daito-ryu Aikijujutsu e
alto dignitario del clan Aizu, per poi entrare nel Kodokan del Prof.
Jigoro Kano. Fu campione indiscusso della scuola battendo sempre
gli avversari, spesso con la sua tecnica preferita: yama arashi
(tecnica ereditata dalla scuola Daito - Draeger, Modern Budo). E'
ancora il regista giapponese Akira Kurosawa che in due suoi film
narra, romanzandola, la vita di Shiro Saigo presso lo Judo Kodokan.
Takeda Sokaku fu l'ultimo bushi, uomo di un'era passata cui é
stato dato di vivere le rivoluzioni sociali che sconvolsero il
mondo tra le due grandi guerre. Ma il suo cuore era legato ad un
passato che non esisteva più, e a valori che si erano sciolti
come neve al sole con l'avvento della cultura proto-industriale del
Giappone d'inizio secolo ('900). Suo figlio Tokimune Takeda, 36°
Soke della Grande Scuola Daito-ryu Aikijujutsu ebbe il difficile
compito di traghettare nel mondo di oggi le tradizioni e le tecniche
millenarie che erano giunte a lui immutate. Per adempiere a ciò
la strada era una sola: bisognava uscire dal riserbo assoluto
nel quale il clan aveva vissuto e si era tramandato di padre in
figlio le tecniche nel più puro stile dalla cultura dei bushi
feudali, e bisognava aprire le porte del dojo di Abashiri al mondo
moderno per svelare tutto il fascino di un'arte che per
sopravvivere doveva vivere fuori e non solo nel Giappone.
Il Daito
oggi La Daito-ryu
aikijujutsu è una antica e nobile Scuola di bujutsu, antica perchè
fu creata nel 1087 da Yoshimitsu Minamoto (1056-1127); nobile
perchè la sua genesi e la sua evoluzione si è svolta in parallelo
con la storia del Giappone. Gli insegnamenti marziali furono
trasmessi in segreto presso il Clan Takeda fino ai giorni
nostri. Il 36° Soke, Takeda Tokimune (1915-1993), decise di far
conoscere al mondo queste meravigliose tecniche di difesa solo
nel 1990 accettando i primi allievi stranieri e dando così il via
alla diffusione nel mondo di questa arte. Tutte le tecniche di
Aikijujutsu praticate all'interno della Scuola sono le sole ed
uniche tecniche praticate dai bushi, del Clan Minamoto(1100), poi
dal Clan Takeda (1500) e per ultimo (fino al 1868) dal Clan
Aizu. Esse sono state tramandate fedelmente fino ai nostri giorni
dalla famiglia Takeda. Scopo della Scuola è di trasmettere
fedelmente gli insegnamenti ricevuti da Tokimune Takeda, che a
sua volte li ricevette da suo padre Sokaku Takeda, 35° successore
della scuola Daito. I discepoli (uchi-deshi) più anziani e
devoti di Takeda Tokimune avevano studiato con lui nel Daitokan
per più di 40 anni. Egli chiese a loro di continuare la direzione
tecnica della Scuola (rispettando come successore della Scuola
sua figlia) come loro avevano fatto mentre egli era ancora vivo. Il
Soke insegnò a Matsuo Sano Sensei l'Okuden (l'ultima porzione di
tecniche segrete) e nominò Kato Shigemitsu Sensei come direttore
del Daitokan per gli ultimi 11 anni prima della sua morte. Tutto
questo mentre egli era ancora vivo. Tokimune chiese a questi
studenti di rispettare e difendere la sua ultima volontà contro le
aggressioni di altri studenti con intenzioni di commercializzare
l'arte. Il loro giuramento individuale al Soke prima che lui
morisse era:
1. preservare le
tecniche originali immutate, 2. rispettare e difendere l'ultima
volontà del Soke: perchè sua figlia dovrà condurre la Scuola dopo
lui come il nuovo Soke".
La Scuola Daito-ryu
è rimasta una ko-ryu, cioè una antica Scuola marziale; essa
ha conservato le regole e i modi in uso nelle ko-ryu
giapponesi, quali:
-
qualificazione
dei propri membri per mezzo dei "mokuroku" (attestati
che dichiarano la conoscenza di una parte
specifica dell'arte)
-
organizzazione
centralizzata (non siamo una federazione o
associazione)
-
non esiste il
sistema moderno dei gradi (kyu/dan)
-
non esistono
gare o campionati non esistendo il combattimento libero
-
si pratica
principalmente per mezzo di "kata"
-
tutti
indossano, da subito, la caratteristica "hakama"
-
lo scopo
principale è l'efficacia delle tecniche e la trasmissione dei
valori della cultura tradizionale giapponese
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